A tre settimane dalle elezioni presidenziali in Turchia, condizionate dal clima pesante dello stato di emergenza, non si fermano le repressioni contro coloro che sono sospettati di essere vicini alla rete di Fetullah Gülen, imam in auto esilio negli Stati Uniti accusato di aver ordito il tentato golpe del 15 luglio 2016.
Solo nelle ultime 24 ore gli arresti sono oltre un centinaio, come riportato dall’agenzia Anadolu secondo cui la Procura antiterrorismo di Ankara ha ordinato blitz in tutte le province della capitale con mandati di cattura destinati a presunti gulenisti. In parallelo anche la Procura di Istanbul ha emesso a sua volta un provvedimento con il quale si ordinava l’arresto di 38 militari, in servizio in 18 diverse province del Paese.
L’accusa, per tutti, è di far parte dell’organizzazione Feto che fa capo al miliardario e ideologo islamico in passato molto vicino al presidente Recep Tayyip Erdogan.
Dal fallito colpo di Stato a oggi, circa 160 mila persone sono state arrestate o sono state sentite dal giudice. Quasi 50 mila sono tutt’ora in carcere.
Tra questi centinaia di giornalisti e esponenti del mondo della cultura e dello spettacolo, come il rapper Ezhel, sottoposto a fermo giudiziario per incitazione all’uso di droga con le sue canzoni, ma di fatto ritenuto voce scomoda anti Erdogan, come Khontkar, altro giovane artista rap turco.
Questi repulisti di massa, a meno di un mese dal voto presidenziale e parlamentare, continuano ad alimentare tensioni in una Turchia sempre più lacerata.
Lo stato d’emergenza post-golpe, insieme alle modifiche sostanziali nella legge elettorale poche settimane prima della comunicazione della data del voto, confermano i dubbi sulla possibilità che quella del 24 giugno possa essere una competizione equa.
“Un periodo di tempo così breve nel riscrivere le regole elettorali non è in linea con le raccomandazioni della Commissione di Venezia”, è stato il monito del Consiglio d’Europa. Soprattutto a fronte della denuncia dell’opposizione che lamenta di non aver potuto partecipare al processo della stesura delle nuove norme.
Le conclusioni della visita della delegazione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ad Ankara, che aveva lo scopo di osservare l’andamento della campagna elettorale e la preparazione per le elezioni in Turchia, non sono dunque benauguranti in vista di un momento cruciale per il Paese e che ‘istituzionalizzerà’ la transizione da un sistema parlamentare a quello presidenziale.
La delegazione europea ha tuttavia evidenziato che i sei candidati alle elezioni “offrono una scelta genuina e pluralistica ai votanti”. Nota dolente il modesto numero di donne nelle liste parlamentari.
I membri del Consiglio d’Europa hanno anche osservato che lo stato d’emergenza, oltre alle operazioni di sicurezza nella parte medio-orientale del Paese con gli arresti di politici e giornalisti, ha imposto forti limitazioni sulla libertà di espressione e la possibilità di riunirsi.
In Turchia non è mai stato così difficile difendere il diritto all’inFormazione e la democrazia. Il Paese, oggi, è la più grande prigione al mondo per gli operatori dei media con circa centosessanta giornalisti incarcerati. Questo non può lasciarci indifferenti. Siamo tutti chiamati a dare il nostro contributo con un corale
supporto ai colleghi che si sono opposti alla volontà di Erdogan di una stampa acritica, neanche sotto la scure della giustizia: per difendere la libertà di espressione hanno già trascorso lunghi periodi in carcere.
Noi di Articolo 21 siamo orgogliosi di essere ancora una volta al loro fianco con la nuova campagna della coalizione di organizzazioni per la libertà di espressione, di cui siamo partner, guidata dall’International Press Institute (IPI).
“I Subscribe” è un’iniziativa per incoraggiare i lettori di tutto il mondo a sostenere i pochi giornali indipendenti rimasti in Turchia.
La campagna parte con lo storico quotidiano di opposizione Cumhuriyet e in seguito verrà ampliata ad altre testate.
Il giornalismo indipendente in Turchia sta combattendo per la sua sopravvivenza. Non è mai stato così difficile difendere la libertà di stampa e la democrazia nel Paese.
Questo non può lasciarci indifferenti. Siamo tutti chiamati a dare totale supporto ai nostri colleghi che non si sono piegati m, e mai Lo faranno, al volere del regime del ‘bavaglio turco’.