Il ministro Salvini – chiudendo i porti alla nave Aquarius carica di migranti – vuole inaugurare la “nuova gestione” del Viminale, e sceglie il “cattivismo” per far capire che la pacchia del “buonismo” è finita. Ci riuscirà? No, perché se non vuole esporsi alla violazione delle norme internazionali di soccorso in mare, alla fine dovrà far entrare la nave in un porto. E la prova di forza si ridurrà a una farsa, buona per strappare gli ultimi voti alle amministrative, ma non altro.
Finché il mare è calmo e non ci scappano morti annegati, il capo leghista fa il duro con Malta, affinché Europa intenda. Ma dopo aver elogiato da sempre il sacro nazionalismo di chi nell’Unione si è rifiutato di accollarsi le proprie quote – da Orbàn ai paesi del Gruppo di Visegàd – è difficile ora pretendere che la redistribuzione dei migranti sia resa operativa.
Sarebbe più serio riprendere la fatica – meno urlata, ma più efficace – di aggiornare e ampliare gli accordi bilaterali, privilegiando soprattutto la prevenzione delle partenze, con piani pluriennali di sviluppo. Di cui la UE si è riempita la bocca con promesse mai divenute azioni incisive, se non di sbarramento alle frontiere. Si ferma un migrante solo se penserà che potrà vivere bene anche dove è nato, spegnendo guerre e accendendo uno sviluppo umanitario.