Quei bambini un giorno saranno uomini e donne e guarderanno al futuro con gli occhi del passato che abbiamo dato loro. Sono giorni difficili in vari posti del mondo, sono giorni di muri, gabbie, reti, mari aperti, sterminati deserti di fame e guerra. Sono giorni di rifiuto, di violenza, di distacco, di privazioni. Sono quei giorni in cui chi è nato – bendata dea della fortuna o chi per lei – nel posto giusto ringrazia il suo Dio – o chi per lui.
La sensazione di impotenza, la sensazione di ingiustizia, di incredulità si insinuano inarrestabili nelle ore scandite da telegiornali e immagini apocalittiche lasciando pochissimo spazio al tempo dedicato allo svago, anche solo quello di aprire un giornale per rilassarsi un attimo.
Come è possibile tutto questo, come siamo arrivati ad essere questo. Come possiamo appartenere allo stesso genere dei carcerieri, noi, che ci sentiamo così tanto vicini ai carcerati.
Leggendo, sentendo, guardando quello che accade inevitabilmente ci pervade quello che in psichiatria e nel linguaggio comune si chiama de ja vu. Il senso di aver già vissuto un’esperienza. Freud lo chiamava il perturbante.
Hanna Arendt diceva che ci sono crimini che l’essere umano non può punire né perdonare, sono troppo grandi per essere contenuti e compresi.
Sta succedendo di nuovo, ancora. Forse non è mai finito, tutto questo? Oggi mi sembra però che succeda ancora e ancora più di ieri.
E’ successo e non siamo in grado di arrestarlo.
Probabilmente l’unico strumento che possediamo, ancora una volta, è la memoria.
La memoria che ha reso noi in grado di guardare al nostro futuro con gli occhi dei nostri nonni, dei nostri genitori, con gli occhi che ci hanno dato loro. La nostra memoria che come un severo censore ci ha permesso di discernere quello che è giusto e quello che è orrore.
Ne abbiamo persa un po’ strada facendo? Siamo stati troppo sicuri, distratti, impegnati? Cosa è accaduto, cosa hanno sbagliato? Come possono oggi i nostri occhi sopportare quella vista?
Forse dobbiamo solo allenarla ancora un po’, forse dobbiamo solo condividerla.
Con tutti i mezzi che possediamo.
Ogni sera, prima di andare a dormire, vogliamo condividere un pezzettino di qualcosa che è stato scritto tanti anni fa e che sembra essere stato scritto oggi per domani.
Trenta secondi di letteratura, teatro, cronaca.
Trenta secondi che lascino una piccola eco che durante la notte possa risuonare nei nostri sogni, pizzicare il nostro inconscio, farci svegliare se non cambiati almeno curiosi.
Proviamo.
Proviamo?
Buona Notte e sogni d’oro.