Luciana Alpi non c’è più a spronare inquirenti, avvocati e, soprattutto, noi giornalisti e associazioni che in questi oltre ventiquattro anni abbiamo fatto di tutto, nel limite delle nostre forze, per impedire che i riflettori si spegnessero sull’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, quel 20 marzo 1994 a Mogadiscio. E per seguire le tracce dei responsabili di quell’agguato e dei loro mandanti.
Luciana se n’è andata otto anni dopo il suo caro Giorgio, e fino all’ultimo è stata fisicamente in prima linea per chiedere verità e giustizia. La ricordiamo tutti lo scorso 17 aprile al presidio indetto da Usigrai, Fnsi, Articolo 21, Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, NoBavaglio e tante altre sigle, davanti al Tribunale di piazzale Clodio, a Roma, dove si discuteva la richiesta di archiviazione del fascicolo d’inchiesta su quella morte.
C’era anche Hashi Omar Hassan, che si è fatto 17 anni di carcere ingiustamente e di cui Luciana e Giorgio hanno sempre chiesto la liberazione, credendo alla sua innocenza. Com’è stato dimostrato. Perché loro non volevano un capro espiatorio, ma verità, in particolare da uno Stato che, fino alla fine, è stato come minimo reticente.
E anche lo scorso 8 giugno, quando ci siamo trovati di nuovo in presidio a piazzale Clodio mentre in un’aula la procura di Roma insisteva per l’archiviazione, nonostante i nuovi elementi arrivati da Firenze (spuntati così tardi!), Luciana ci seguiva da una stanza di ospedale e ci mandava un saluto, anche se non ce la faceva proprio a venire: “sono con voi”.
Noi la ricordiamo con la foto di lei quel 17 aprile insieme a noi; ma non basta. Dobbiamo proseguire la sua battaglia, che è anche la nostra battaglia.
Saremo in tribunale quando il Gip convocherà le parti per decidere sulla ribadita richiesta di archiviazione, per dire ancora #NoiNonArchiviamo, saremo in tutti i luoghi, reali e virtuali, dove ribadire la nostra volontà di non dimenticare e pretendere verità e giustizia. E, qualunque sia la decisione della magistratura, continueremo a insistere per proseguire la ricerca di quella verità: gli sviluppi recenti sono arrivati proprio da croniste e cronisti che hanno insistito a cercare, dimostrando anche agli organi inquirenti che è ancora possibile seguire le tracce di quell’agguato e recuperare qualche pezzo di verità. E un contributo importante è arrivato anche da tv e cinema, che hanno saputo raccontare una storia drammatica preservando la dimensione umana e professionale di Ilaria e Miran, preservando la memoria anche tra i tanti che non sanno o non ricordano. Perché, come hanno scritto Paola e Claudio Regeni nella bella lettera alla signora Alpi, “l’Italia non può esimersi da sapere le vere circostanze di quella tragica uccisione“. Ne va dello stesso senso di uno Stato di diritto.
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