Saranno gli insulti la cosa che maggiormente ha addolorato il cardinale Ravasi? Non credo. Io credo che il maggior dolore per il cardinale Ravasi sia stato constatare che quando si parlava di radici cristiane dell’Europa si parlava esattamente di quello che oggi suona così sgradito, cioè di inserire nella carta europea un riferimento fondativo a radici che sono da sempre sintetizzate proprio nel discorso di Gesù citato dal cardinale. Molti erano d’accordo con quella richiesta, soprattutto nel fronte che oggi critica il porporato. Ma parlare di radici cristiane non vuol dire mettersi un crocifisso al collo, o nella sala del Parlamento europeo, ma riconoscere una radice cristiana nelle nostre condotte, nella nostra cultura. Forse è il caso di rileggere tutto il brano citato dal cardinale Ravasi: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. 32 E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. 37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? 40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. 41 Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. 42 Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; 43 ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. 44 Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? 45 Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. 46 E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».
Richiamarci alle radici cristiane dell’Europa vuol dire vivere il senso sempre evolutivo ma profondo di quelle radici, non il loro sradicamento dai nostri comportamenti, dalle nostre scelte, dalla nostra quotidianità. E il senso di questo discorso è “mutuo soccorso”, fratellanza. E così anche chi si richiama alla cultura illuminista può ritrovare in “fraternità” la radice di un atteggiamento accogliente verso lo straniero, l’assetato, l’affamato, il malato. Questo non vuol dire accogliere tutti, vuol dire non giocare con le pulsioni profonde, le paure degli uni e il dramma, le condizioni contingenti dell’altro. Dunque non si esagera dicendo che davanti a quanto accaduto con gli assetati, i malati, gli affamati, i nudi, gli stranieri in questi anni si sia posta in discussione l’affermata esistenza o resistenza di radici cristiane nella civiltà italiana ed europea odierna. Mai come oggi lo scandalo del Vangelo dovrebbe parlare a Ventimiglia, a Bardonecchia, nelle acque del Mediterraneo, a Ceuta, a Lesbo, a Budapest. O dobbiamo concludere che ha dimostrato rispetto per il Vangelo chi non volle inserire un richiamo alle radici cristiane dell’Europa nella Carta europea?