Massacrato a pugni, calci e bastonate. In Messico ucciso un altro giornalista

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“Matemos a nuestro periodista”, avevano detto due tipi loschi in una strada del centro di Ciudad Victoria, il capoluogo del Tamaulipas, mentre Hector Gonzalez passava loro accanto. Con un tono di voluta trascuratezza. Come se stessero parlando di andarsi a mangiare qualche taco, le tradizionali frittelle di maiz che in qualsiasi ora del giorno e della notte i messicani riempieno di pollo, legumi, salsicce, maiale, uova, verdure, cento varianti, purchè condite tutte con le salse più piccanti. Non c’è bettola che non le offra. Così come non c’è angolo di città che non possa presentare qualche pericolo.

Sessantenne, dunque vecchio del mestiere e suo malgrado abituato a provocazioni e minacce, il corrispondente del prestigioso quotidiano Excelsior (“Cento politici assassinati finora nella campagna elettorale”, è uno dei titoli che pubblicava ieri in prima pagina) lo raccontava semplicemente come un aneddoto del suo lavoro. In questo Messico ormai intossicato a morte dal narcotraffico e ridotto a terribile ammonimento per quanti s’illudono che la stessa tragedia non possa ripetersi ovunque se ne riproducano analoghe condizioni sociali e politiche.

L’altro giorno è stato trovato casualmente in un viottolo sterrato di periferia, massacrato a pugni, calci e bastonate. Ridotto a un numero della macabra statistica d’una guerra civile mai dichiarata, ma tra le più feroci dei nostri tempi nient’affatto miti: oltre 200mila morti, almeno 70 mila sequestrati e scomparsi, centinaia di migliaia di profughi negli ultimi 12 anni di ondivago, costosissimo e inefficiente contrasto al narcotraffico da parte dello stato. I giornalisti ammazzati sommano ora a 144, Hector Gonzalez è il sesto dall’inizio dell’anno, il secondo nell’ultima settimana.

Il suo giornale ha espresso tutto il senso d’impotenza suscitato da questa contabilità funerea. Nessuno si arrende di fronte alla necessità di costringersi a diventare eroi anche solo per documentarsi e scrivere la millesima denuncia della corruzione nel sistema di potere, nel governo centrale, nell’amministrazione della giustizia, tra i governatori dei 21 stati del paese. Del tutto consapevoli dei rischi, giovani volontari affollano tuttavia le redazioni, prova ulteriore della volontà della grande maggioranza dei messicani di salvare il proprio paese dal naufragio sociale ed economico.

Il Messico potenza industriale emergente appare in declino, la sua grande tradizione di generoso rifugio di perseguitati d’ogni parte del mondo, pur nei contrasti delle sue storiche contraddizioni, oscurata da una violenza tanto feroce quanto cieca e dilagante. E tutto comincia e continua con l’assassinio della parola che cerca la verità. I demoni armati che inseguono i giornalisti per ucciderli vogliono desertificare l’informazione. Ridurla a un cimitero senza lapidi per tacitare tutte le vittime, far evaporare la verità negli acidi della cocaina e trasformare il loro dominio in un mondo del silenzio.


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