Un passaggio inedito della storia di Ilaria e Miran come contributo alla ricerca della verità perché nessuno, negli ultimi 24 anni se ne è mai occupato ed oggi c’è il rischio concreto che davvero si dica che non c’è più nulla che si possa fare per cercare la Verità. Un regalo di addio alla grande mamma di Ilaria scomparsa nei giorni scorsi: da lei abbiamo imparato che non bisogna mai arrendersi.
Un dettaglio. Certo è un semplice dettaglio. Ma è uno di quei dettagli su cui in un caso di omicidio si indaga. E a fondo perché è uno di quei dettagli che possono cambiare tutto e aprire la strada alla verità. Eppure nel caso dell’omicidio di Ilaria e Miran nessuno se ne è mai occupato.
E’ tutto nelle carte, quelle maledette carte che da anni continuiamo a leggere e rileggere incapaci accettare che quel che appare chiaro, nero su bianco, non si trasformi in una efficace azione giudiziaria.
Tutte le cose di Ilaria, subito dopo l’omicidio, non erano nella sua camera d’albergo all’Hotel Sahafi, ma in una stanza attigua. Possibile? Andiamo con ordine.
Il 20 marzo 1994, la mattina del delitto, Ilaria e Miran arrivano a Mogadiscio in aereo da Bosaso, dove hanno indagato sulle navi della Shifco, la compagnia di pesca oceanica italo somala coinvoltain traffici internazionali di armi.
All’aeroporto, controllato esclusivamente da militari americani, non dovrebbe esserci nessuno ad aspettarli perché la scorta dei due giornalisti è stata depistata e spedita all’Ambasciata americana dove normalmente arriva l’elicottero-navetta dall’aeroporto.
Ilaria e Miran quella navetta non la prenderanno mai. Qualcuno, non si sa chi, li preleva, li fa uscire dall’aeroporto senza controlli, senza che venga registrato, come era obbligatorio, il loro passaggio in uscita, e con una scorta armata vengono accompagnati in albergo, l’Hotel Sahafi dove i due occupano le stanze 202 e 203.
Ilaria e Miran, arrivano in albergo accompagnati dal misterioso comitato di ricevimento che li ha traghettati dall’aeroporto. Ma con i due giornalisti arrivano in albergo anche i loro bagagli? O chi li ha accompagnati ha trattenuto, in tutto o in parte, valige documentazione, nastri videoregistrati e attrezzatura per la ripresa?
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin occupavano all’Hotel Sahafi le stanze 202 e 203. Addosso al cadavere di Ilaria è stata ritrovata la chiave della stanza 202. La chiave della stanza 203 non è invece mai stata ritrovata.
Ma tutti i testimoni che si sono recati al Sahafi per recuperare le cose di Ilaria e Miran riferiscono di essere entrati nelle camere 203 e 204. Invece Ilaria occupava anche sul master book della reception la stanza 202, Miran la 203.
La disposizione e la qualità degli oggetti nella camera di Ilaria fa sospettare che si tratti di una messinscena. I bagagli sono tutti disfatti! Le borse sono tutte vuote. I preziosi passaporti buttati su un letto. Tanto che la Simoni, osservando la scena dice: “Ma stava preparando i bagagli?”. L’interno della camera è intonso mentre tutte le cose di Ilaria sono alla rinfusa, ovunque.
Ilaria, una volta arrivata all’Hotel, cerca subito del corrispondente dell’Ansa, Stefano Benni, che non c’è: è a Nairobi in Kenya. Perché lo cerca? Poi Ilaria, improvvisamente, nonostante avesse prenotato il satellite per inviare un “servizio esplosivo”, vuole andare al di là della linea verde che divide Mogadiscio tra le fazioni, all’ l’Hotel Hamana.
Ha tanta fretta da non voler aspettare di avere una scorta armata affidabile. Chi doveva incontrare Ilaria con tanta urgenza? E perché proprio lì? Davanti all’albergo, ad aspettarla c’è solo il commando che la ucciderà e che ha preso posizione ore prima. A Mogadiscio sono le 15,10, a Roma le 13,10, quando Ilaria e Miran Vengono uccisi. Attenzione agli orari perché sono importanti.
C’è poi la questione della telecamera. Hrovatin non sarebbe mai uscito senza. Per un operatore la regola in zona di guerra, ma anche nella normalità, è non separarsi mai dalla telecamera. Può sempre accadere qualcosa degno di essere filmato, oppure una degenerazione della situazione potrebbe rendere impossibile recuperarla .
Eppure la telecamera viene ritrovata in Hotel.
Nessuno ha mai sottolineato che Ilaria Alpi al momento dell’omicidio non aveva con sé nessun oggetto personale, neppure un fazzoletto da naso. Non aveva il passaporto che è stato ritrovato buttato sul letto con quello di Hrovatin. Sopratutto non aveva lo zainetto nero che compare sempre con lei in tutte le fotografie in Somalia.
È assurdo pensare Ilaria abbia progettato di attraversare la linea verde in zona di guerra come se stesse andando sotto casa a comprare il latte! Stessa cosa per Hrovatin. Anche lui non avrebbe mai e poi mai abbandonato il passaporto (chiedete pure a qualunque corrispondente o inviato di guerra). Praticamente Miran aveva con sé solo il portafoglio!
Perché, fino ad oggi, nessuno ha mai indagato sullo scambio delle stanze? Magari per scoprire che i due inviati Rai si recarono proprio dove li aspetta il commando omicida credendo di recuperare materiale come bagagli e telecamera e quanto necessario (block notes e cassette video) per confezionare il “servizio esplosivo” che avevano annunciato al tg della Rai.
- Ilaria e Miran vengono assassinati alle 13 circa (ora Italiana). Alle 14.43 l’agenzia Ansa da Mogadiscio batte la prima agenzia: “La giornalista del Tg3 Daria Alpi (cit.) e il suo operatore… sono stati uccisi oggi pomeriggio a Mogadiscio nord”. Solo 21 minuti dopo, a Roma sono le 15.04, l’Ansa (di Roma) riporta una nota dello Stato Maggiore della Difesa in cui si sostiene che “Niente di proprietà dei due giornalisti è stato sottratto”. Una certezza opera della sfera di cristallo. Nessun militare interviene sul posto, ma in effetti tutto viene ritrovato nelle due stanze 203 e 204 dell’Hotel Sahafi. Solo che la camera di Ilaria era la 202 e, mentre da Roma si diffonde ufficialmente questa certezza (“nulla è stato sottratto”), nessuna autorità italiana ha fatto un inventario. Anzi, chi si sta prodigando (Porzio e Simoni) per recuperare i materiali di Ilaria e Miran, si trova ancora nell’albergo, nella “presunta camera” di Ilaria. Il video girato dall’operatore della TV Svizzera mostra l’orologio della reception all’arrivo dei giornalisti italiani: sono quasi le 17 a Mogadiscio, a Roma sono quasi le 15….
E adesso che ci dicano pure che non c’è più niente su cui indagare.
Fonte documenti: “Archivio storico della Camera dei deputati”
*Articolo pubblicato su AntimafiaDuemila