di Lorenzo Marone
“Un ragazzo normale” non è un romanzo su Giancarlo Siani, ma con Giancarlo. Il protagonista è un ragazzo di dodici anni, Mimì, figlio del portiere dello stabile del Vomero in cui vive Siani.
L’intera vicenda si svolge nell’arco temporale di pochi mesi, dal gennaio dell’85 al settembre dello stesso anno, mese in cui Giancarlo fu ucciso. Mimì Russo è un ragazzino particolare, un quattrocchi fissato con la scienza, i fumetti, i supereroi e i superpoteri, amante indefesso della lettura e dei classici per ragazzi. Un collezionista sfegatato e impacciato che incontra per la prima volta l’amore nella figura di Viola, la ragazzina del settimo piano.
È una storia che parla di amicizia, delle prime scoperte sessuali, dell’importanza dei libri e della cultura, di quel particolare periodo che si attraversa, a cavallo fra l’infanzia e l’adolescenza, nel quale ancora non siamo quello che saremo, ma già non siamo più quello che eravamo. È una storia che parla di superpoteri, che non sono quelli dei supereroi della Marvel, ma quelli che posseggono alcuni di noi, il coraggio, la curiosità, l’amore per l’arte, la scienza e la letteratura, la voglia di non passare inutilmente su questa terra, la necessità di ognuno di arrivare a fiorire.
Mimì è uno che non si accontenta della vita nella quale è capitato, in una famiglia povera che abita una casa piccola, è un ragazzo innamorato di ogni aspetto dell’esistenza, che crede nei supereroi ed è alla costante ricerca di un modello da seguire, un esempio. E l’esempio che trova è quello di Giancarlo Siani, giornalista pubblicista de Il Mattino, che abita nel suo stesso palazzo, nella scala opposta.
I supereroi esistono, e sono in mezzo a noi, dice Mimì. Gli eroi sono persone normali che ogni tanto fanno la cosa giusta, sostiene invece la nonna Maria. Non esistono persone con poteri speciali, esistono persone migliori di altre, più capaci di altre, più coraggiose, gli spiega Giancarlo, in una delle tante conversazioni a bordo della Mehari, la speciale Batmobile del giornalista.
Non volevo parlare del male di Napoli, ergerlo a protagonista della storia, tutt’altro, il protagonista resta il bene, Mimì e la sua famiglia, i suoi amici, e Giancarlo, la faccia buona di Napoli, che di facce buone ha sempre bisogno, uno che ha scritto la storia senza volerlo e senza saperlo, un giornalista che faceva solo con coraggio e serietà il suo lavoro. La scelta è stata dettata dal fatto che la vicenda di Giancarlo l’ho sempre sentita vicina, perché si è svolta a pochi passi da casa mia, perché riguarda una famiglia normale che sarebbe potuta essere la mia, perché lui è stato e continua a essere un gigante per noi napoletani. Non mi interessava parlare del giornalista, quanto del ragazzo, perché prima di tutto c’era lui, il ragazzo, costretto ad abbandonare la vita a soli ventisei anni. Ero alle prese con una storia che parlava di supereroi e che non mi convinceva più di tanto, quando un giorno mi imbattei in una mostra su Giancarlo Siani, alcune foto che gli amici più stretti avevano messo a disposizione di tutti. Quello che emergeva dalle immagini era proprio il ragazzo, il suo sorriso, le sue giornate normali. Fu la scintilla che diede il via al tutto.
Ho dovuto ovviamente documentarmi per avere un’idea precisa di quanto accaduto nei mesi precedenti all’assassinio, e tutto ciò che riguarda la vicenda giornalistica, la cronaca, è reale; è reale, ovviamente, l’articolo de Il Mattino del dieci giugno che condanna a morte Giancarlo e che Mimì legge di notte appollaiato al tavolo della cucina, sono vere le modalità dell’omicidio, è reale la Mehari, l’amore per Vasco, e gli appostamenti sotto il palazzo da parte dei sicari. Non sono veri, invece, i dialoghi fra Giancarlo e Mimì, se non qualche frase che apparteneva al giovane giornalista e che ho cercato di inserire nelle conversazioni. Desideravo poter immaginare la voce di Giancarlo, i suoi atteggiamenti, descriverlo come mi andava, come pensavo potesse essere stato. Durante la stesura ho poi avuto la fortuna e il piacere di conoscere il fratello Paolo, e a lui ho chiesto se il Giancarlo da me descritto fosse simile a quello vero, se il suo modo di parlare, di gesticolare, i suoi movimenti, lo ricordassero in qualche modo.
Il romanzo è un tuffo negli Anni Ottanta, il decennio che forse non ha lo stesso fascino di quello precedente dal punto di vista storico, letterario e politico, ma che è l’ultimo periodo di reale condivisione, una parola che, paradossalmente, usiamo tanto proprio oggi che ha perso di significato. All’epoca, invece, i ragazzi trascorrevano le loro giornate per strada, tutti insieme, dalla mattina alla sera, senza distinzioni sociali a dividerli. È un omaggio certamente ai libri, al potere salvifico delle parole e della cultura, l’unico strumento che ci rende liberi e ci permette di combattere il male, è il mio personale omaggio a Giancarlo Siani, al suo amore per la vita, per la conoscenza, per le parole, alla sua innata curiosità che lo ha mosso, che ha permesso a questo “ragazzo normale” di compiere gesti e scelte coraggiose, da eroe appunto.
Giancarlo, e tutti quelli che si sono sacrificati perché credevano in un mondo migliore, sono il nostro bagaglio che non dobbiamo dimenticare di portare ogni giorno con noi, il bagaglio delle future generazioni di ragazzi che vogliono imparare a vivere con coraggio, a rendere le loro vite speciali grazie alla curiosità e all’amore per la verità.
Il libro: “Un ragazzo normale”, Feltrinelli