BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Il nostro “Sessantotto aspromontano”

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di Gioacchino Criaco

È un mondo che vola, chi legge non supera il secondo rigo dando per scontato di aver già capito tutto. La mente e il cuore stanno a pelo d’acqua, così le coscienze. Una conoscenza di superficie.
Anche se a dirlo ora sembra uno di quei cunti sdolcinati da braciere d’inverno, c’è stato un tempo in cui il furto era vergogna, l’arroganza sopruso e nella Locride ti ammonivano a non frequentare i peggiori, vivevano la protesta operaia e il cooperativismo contadino. E l’onorata società c’era, ma si mangiava rancorosa il suo spazio, vedeva restringersi il proprio status. C’era, forte, il sogno di far parte di un mondo nuovo, libero da un medioevo che ci opprimeva da un tempo infinito. I poveri aprivano la bocca, strillavano idee e chiedevano diritti.
La fibbia era costretta a consolare la solitudine dei pochi che si ostinavano a fare i pastori sparsi nell’Aspromonte. Ed era venuto il tempo, per i figli di rivoltarsi ai padri, i fratelli ai fratelli e poi tutti contro amici e compari, fino ad arrivare a lottare un destino che sin lì era apparso immutabile. Un’emancipazione culturale, l’affermazione dei diritti, che misero lo Stato davanti alla scelta. E lo Stato è un’idea e le persone che lo rappresentano.
Chi allora personificava lo Stato, dallo Jonio al Tirreno, affiancò la parte peggiore, facendo Istituzione e classe dirigente il potere locale che da secoli opprimeva la povera gente. E il potere locale selezionò i peggiori, paese per paese, per negare diritti e mantenere privilegi.
I diritti che fiorivano sulla bocca del popolo seccarono al cospetto di una onorata società diventata ‘ndrangheta nuova, fatta del peggio del peggio che c’era e dotata d’impunità, potere, autorevolezza. Una feccia che ha azzannato al collo i guerrieri migliori e ha incanalato la protesta che restava in una strada puramente criminale.
Un cancro cresciuto a coccole e protezioni da una parte di quelli che avrebbero dovuto combatterlo. In ogni paese, per ogni bisogno si è imposto un referente sbagliato e la cultura del drittismo ha preso il sopravvento su ogni preesistente principio morale, ha distrutto ogni norma di diritto naturale e ogni forma di solidarietà. E dove più forte era la protesta più forza quello Stato ha dato alla feccia.
Allora non lo si sarebbe potuto dire che la Locride covasse da sempre i paesi peggiori. Ma quel potere locale, il suo braccio armato, e la scelta scellerata di quello Stato, hanno fiaccato il meglio. Chi lottava per essere migliore, a furia di stare in piazza ad aspettare la cavalleria s’è stancata, ha rimesso le idee in testa e il cuore in petto e se n’è tornata a casa; il suo ricordo è stato completamente cancellato, ma non è che non ci sia mai stata, o che di gente così non ce ne sia ancora.
È di nuovo una scelta che chi rappresenta lo Stato deve compiere. Appoggiare idee e persone migliori o costruire l’ennesimo oppressore.
Se come è di moda oggi dire, lo Stato viene a portare il bene, allora deve avere la capacità di saperlo riconoscere e scovarlo soprattutto dove presuntivamente non ci sia. Per farlo non deve fermarsi a classificazioni superficiali. Per farlo non deve appoggiarsi a interpreti interessati e ai rappresentanti del solito vecchio potere locale.
Perché, per una volta la scelta sia giusta, gli oppressi non si debbono mettere davanti alibi, ingiustizie ed errori che hanno subito, devono ritirare fuori idee, cuore, rispolverare principi morali e solidaristici che la civiltà aspromontana aveva in corpo. Perché per una volta la scelta sia giusta la cavalleria non deve calpestare sotto gli zoccoli tutto quello che incontra.
E per chi intende aiutare davvero la svolta, serve tanta umiltà, curiosità, profondità di giudizio. La moralità sommaria rischia sempre il moralismo che è nemico delle svolte.
E anche se per voi sarà solo un cunto, io che sono orgogliosamente di Africo, mi ricordo che c’è stata un’Africo migliore, una San Luca migliore, una Platì migliore. C’è stato un sessantotto aspromontano che ha trasformato un manipolo di ragazzini e di gelsominaie in un esercito potente che da solo aveva sconfitto il nemico vero, quello di sempre: potere locale e mafia. Lo Stato ha sostenuto la discordia e una maledizione, la maligredi, che ha disgregato comunità tenute insieme da un principio antico, quello sì appartenente per genesi all’Aspromonte, la solidarietà.

Il libro: “La Maligredi”, Feltrinelli


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