Finalmente. Non se ne poteva più. L’interminabile telenovela si è conclusa felicemente e il matrimonio, con tanto di contratto, tra M5S e Lega è stato celebrato. Per ottantotto (88) giorni abbiamo seguito con il fiato sospeso incontri e riunione segrete, dichiarazioni e smentite, rotture e riconciliazioni, svolte improvvise ed imprevedibili, ma finalmente abbiamo un governo legittimo.
Il lieto fine è arrivato anche grazie alla pazienza e alla determinazione del Presidente Mattarella, che si è comportato come un monaco-guerriero zen. Ha aspettato con infinita pazienza che i due contraenti, acerrimi nemici durante la campagna elettorale, si conoscessero meglio fino a maturare una affettuosa amicizia. Ad un certo punto ha ricordato, con determinazione inusuale, le prerogative che la Costituzione (art.92) gli assegnano nella nomina dei ministri, ponendo il veto al professor Savona a ministro dell’Economia, per i suoi attacchi all’Euro, all’Europa –che in effetti sarebbe un po’ da riformare- e alla Germania, considerata sempre un po’ nazista. Mattarella, in realtà, si è limitato a un “ni”, perché aveva suggerito di fare altri nomi su quella casella. Matteo Salvini, che -secondo il giornale satirico Canard Enchainé- si è fatto rimborsare, dall’odiata Bruxelles, champagne e cene da 400 euro a testa assieme alla sua amica Le Pen, ha colto la palla al balzo e minacciato il ritorno immediato alle urne, mentre Di Maio ha addirittura invocato il ricorso alle piazze contro il Presidente della Repubblica e la sua messa in stato d’accusa per alto tradimento o attentato alla Costituzione (art. 90). Il Presidente-samurai, allora, ha fatto una mossa diversiva incaricando il bravo Cottarelli di costruire in fretta e furia un governo “neutro”, composto da tecnici, e con zero voti in Parlamento.
E così, per un lungo istante, è sembrato che le istituzioni repubblicane fossero sull’orlo della crisi, con l’odore acre –almeno sui social media- della guerra civile e lo spread in rialzo furibondo. Poi il Presidente-monaco zen, complice la minaccia di andare a votare a ferragosto, ha fatto qualche telefonata giusta. L’impeachment all’amatriciana è rientrato rapidamente, senza scuse ma con grandi sorrisi e, dopo l’ennesima giravolta, è ripartito il governo “del cambiamento”. Hanno rimesso in mano a Giuseppe Conte il nuovo elenco dei ministri e lui lo ha subito girato al Presidente della Repubblica. L’irascibile professor Savona è stato spostato, con mossa ardita, alle Politiche comunitarie, e al suo posto è stato messo il professor Giovanni Tria, che ha quasi le sue stesse idee e in più è amico fraterno di Renato Brunetta. Così il professor Savona sarà il vero “uomo forte” del nuovo governo, determinato a cambiare in meglio l’Europa e a difenderci dai tedeschi, che amano l’Italia e disprezzano gli italiani. Il nuovo governo è pieno a metà di professoroni e di boiardi di stato, che conoscono funzionamento della macchina, mentre l’altra metà è composta da apprendisti che dovranno imparare in fretta il mestiere. Presto vedremo se e come rispetteranno un “contratto” costosissimo, ma pieno di speranze per gli italiani, che vogliono il reddito di cittadinanza, pagare meno tasse e andare in pensione non troppo tardi. Intanto anche la Borsa e lo spread, alla faccia dei complotti, hanno festeggiato il lieto fine della telenovela.
E finalmente tutti -ma proprio tutti- sono contenti. Il governo grilloleghista ha conquistato il potere e tutte -ma proprio tutte- le poltrone che contano e quindi potrà cambiare tutto (o quasi) quello vuole. Sarà contento anche chi ha votato M5S per punire –giustamente- il Pd e adesso si ritrova alleato con il “sovranista” Salvini e solo per un pelo ha evitato di essere in compagnia di Giorgia Meloni, che –all’ultimo momento e poca eleganza- aveva cercato di buttarsi sulla torta chiedendo il ministero della Difesa. Silvio Berlusconi fa il broncio ma è abbastanza soddisfatto, perché rassomiglia sempre di più a Toni Servillo in “Loro 2”. E poi ci sarebbe il Pd …il Pd?
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