“Che succede in Emilia?”. Nel fu Ducato di Parma e Piacenza questa è la domanda che si stanno facendo un po’ tutti: istituzioni, sindacati e cittadini. Perché se a unire le due città ci riuscirono per la prima volta nel XVI secolo i Farnese, oggi ci stanno provando i giornalisti precari di Gazzetta e Libertà. Di certo, il tessuto sociale delle province emiliane appare spaesato di fronte a una protesta ma i registrata prima da queste parti: quella dei giornalisti ultimi della fila.
Siamo in un territorio legato a doppio filo con i quotidiani locali che da secoli ne raccontano vita, morte e miracoli. Quindi: cosa è successo? E’ successo che anche i giornalisti precari delle due storiche testate locali, Gazzetta di Parma (prima edizione agli archivi del 1735) e Libertà di Piacenza (1883), nel loro piccolo, si siano – per così dire – “incazzati”. Cronache, corrispondenze dalla provincia e interi settori appaltati ai collaboratori con pezzi pagati la bellezza di 3, 8 o 13 euro. Certo, la loro è una storia simile a quella dei colleghi de Il Gazzettino di Venezia e a tanti altri giornalisti non-dipendenti in giro per l’Italia.
Prime pagine, servizi di apertura e inchieste pagate una miseria. Poi, d’un tratto, dopo la rottamazione di rotative e poligrafici da parte degli editori (sic) ecco il “cambiamento” accanirsi sui collaboratori.
Contratti? A Piacenza vale ancora la “stretta di mano”. Rimborsi spese per servizi concordati? A Parma non se ne parla. E pagamenti sotto la soglia minima di dignità prevista dal CNLG. E di qua, e di là, l’imposizione, da parte degli editori, di nuove fasce di pagamento che penalizzano i collaboratori.
“Grazie all’unità della comunità giornalistica abbiamo ottenuto incontri con le aziende, ma non c’è stato alcuno spazio di trattativa, trattativa prevista per legge nel caso del lavoro autonomo” spiegano dall’Aser. Una mail inviata a tutti i cococo e comunicazioni estemporanee sono bastate, secondo gli editori, a cambiare le regole. Così i non-dipendenti sono stati messi all’angolo all’inizio del 2018.
E pare ne siano usciti.
Cdr di Gazzetta e Libertà, Aser e Fnsi hanno ottenuto – per la prima volta – tavoli aziendali specifici sui temi dei non-dipendenti. Al momento arenatisi dietro la chiusura totale degli editori.
E allora ecco spiegato perché martedì 19 giugno, nel “salotto buono” della città Ducale, piazza Garibaldi, Fnsi e Aser con il segretario Raffaele Lorusso, la presidente Serena Bersani e il sottoscritto, cronista precario di Libertà e presidente della Clan Fnsi: saremo tutti in Emilia per dare #VoceAiGiornalistiPrecari.
E ieri è arrivata la lodevole presa di posizione dei sindacati confederali delle due città che, oltre ad annunciare l’adesione, sottolineano che “il lavoro di giornalisti senza diritti, senza tutele e senza garanzie non può che riflettersi sull’intera società e destare preoccupazione”. Preoccupazione condivisa da tanti.
Che i giornalisti precari riescano a unire laddove divisioni campanilistiche hanno sempre trionfato?
Non succede… ma se succede…