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Carniti, il coraggio di affrontare il futuro

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Lama, Carniti, Benvenuto. Una volta non si diceva Cgil, Cisl, Uil ma Lama, Carniti e Benvenuto. I tre nomi erano sinonimo e simbolo di sindacato: unito, forte, autorevole, vincente. A Roma, nel perimetro di poche centinaia di metri c’era la sede della Cgil in corso d’Italia, della Cisl in via Po, della Uil in via Lucullo e della Federazione unitaria in via Sicilia (presto scomparsa): sull’onda dell’Autunno caldo del 1969 era un intrecciarsi continuo di incontri  e di discussioni su come rinnovare la contrattazione e come cambiare la società italiana.

Era il progetto del “sindacato soggetto politico” che discuteva con il governo anche di politica industriale, fisco, sanità, pensioni, casa, sviluppo urbanistico. I metalmeccanici erano la punta di diamante di quella politica innovativa ed unitaria: in corso Trieste per primi avevano dato vita alla mitica Flm, la federazione unitaria dei lavoratori meccanici, combattiva ed attenta alla tutela dei lavoratori e del lavoro.

Sembra una storia di un secolo fa, invece risale agli anni Settanta-Ottanta. Pierre Carniti fu uno dei principali protagonisti di quella straordinaria stagione del sindacato riformista e con i piedi ben piantati al Nord e nelle fabbriche, oltre che negli uffici pubblici e nelle campagne. Oggi, invece, le confederazioni sindacali sono delle organizzazioni sbiadite, deboli, frammentate. Domina la sfiducia, solo i partiti (in particolare quelli tradizionali) stanno molto peggio in quanto a credibilità.

Pierre Carniti, dopo Luciano Lama, se ne è andato. È morto a Roma il 5 giugno all’età di 81 anni, una vita tutta sulle barricate.  I funerali sono tenuti il 7 giugno presso la chiesa di Santa Teresa D’Avila (corso d’Italia n.37).

Carniti aveva un fisico esile ma di acciaio, un carattere schivo ma profondo. Non visse in tempi facili. Prima, dal 1970, fu segretario della Fim, la federazione dei metalmeccanici della Cisl, poi dal 1979 al 1985, fu al timone del sindacato cattolico, come si chiamava un tempo. Era un cattolico non democristiano, antifascista e di sinistra, un operaista e riformista radicale.

In quegli anni l’Italia stava vivendo una travagliata stagione di grandi trasformazioni sociali ed economiche, nelle università e nelle fabbriche la contestazione studentesca del 1968 e quella operaia del 1969 avevano dovuto fare i conti anche con i frutti avvelenati del terrorismo. Le Brigate rosse uccidevano e gambizzavano sindacalisti, imprenditori, poliziotti, magistrati, giornalisti. Nel 1978 assassinarono Aldo Moro e massacrarono la sua scorta.

Il lavoro dei sindacalisti era difficile, i dirigenti sindacali erano nel mirino perché erano considerati dalle Br uno dei motori del sistema capitalista italiano da cancellare. Nel mirino c’erano soprattutto i sindacalisti riformisti come Pierre Carniti, ostili al massimalismo e all’antagonismo. Era impegnato a difendere i lavoratori e a cambiare la società, a modernizzarla nel segno della solidarietà, dell’uguaglianza e della libertà. Carniti non ebbe paura, non aveva timore né dei terroristi né di costruire il futuro abbattendo anche dei consolidati ed intoccabili tabù.

Da segretario della Fim combattette per diffondere ed ampliare la contrattazione articolata ed aziendale accanto a quella nazionale. Da segretario della Cisl lottò per conquistare la concertazione sociale tra sindacato, Confindustria e governo. La sua bussola era il coraggio di affrontare il futuro, l’obiettivo era di modernizzare e di rendere più giusta la società italiana.

Sostenne e lottò con convinzione per il patto anti inflazione, toccò e ruppe il tabù della scala mobile. Non si tirò indietro davanti a forti sfide. Appoggiò nel 1984 l’accordo con il governo Craxi per cambiare i meccanismi retributivi, tariffari e fiscali. La tesi era semplice: il primo nemico dei lavoratori e dei pensionati è l’inflazione che erode i salari e danneggia l’occupazione, mandando fuori mercato le aziende. E allora l’inflazione era una emergenza, marciava a due cifre. Non a caso l’inventore della politica dello scambio sociale e della predeterminazione degli scatti della scala mobile fu Ezio Tarantelli, geniale economista, grande riformista, capo del centro studi della Cisl voluto da Carniti. Tarantelli pagò con la vita: per le sue idee riformiste fu ucciso nel 1985 dalle Br all’Università di Roma, dopo una lezione.

Ma il patto anti inflazione passò nonostante tutte le difficoltà. Fu siglato dalla Cisl, dalla Uil e dai socialisti della Cgil (si oppose la maggioranza comunista della confederazione). Nel 1985 il no al referendum abrogativo voluto da Berlinguer contro l’intesa tra il governo Craxi e i sindacati vinse soprattutto per la sua determinazione (il segretario socialista e presidente del Consiglio si batté con forza per l’”accordo di San Valentino” e contro il referendum, mentre il segretario della Dc De Mita fu molto tiepido). Fu un successo. L’inflazione galoppante fu sconfitta, il potere d’acquisto dei salari aumentò, crebbe l’occupazione e la competitività delle aziende italiane.

Immediatamente dopo Carniti lasciò la guida della Cisl, ma restò la sua impronta di riformista coraggioso. Assieme a Lama, Benvenuto e a Del Turco fece di tutto per ricomporre l’unità del sindacato e ci riuscì, anche se le difficoltà non furono poche. Nei congressi, nei comizi e nelle riunioni ripeteva: «L’unità e l’autonomia sono la discriminante della Cisl». Allo slogan di «contarsi per dividersi» contrapponeva quello di «unirsi per contare».

Da senatore ed eurodeputato del Psi e poi dei Ds fece di tutto per unire la sinistra divisa e frammentata in mille pezzi diversi. Fondò i Cristiano Sociali. Ma quello sforzo unitario, purtroppo, ebbe ben poco successo.


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