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Caporalato, tanta strada da fare ancora. Intervista a Yvan Sagnet, il promotore del primo sciopero dei braccianti stranieri in Puglia nel 2011

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Dalla Puglia al Piemonte, passando per la Lucania, il Lazio e la Campania, i braccianti immigrati sono vittime di un caporalato feroce che li rinchiude in veri e propri «ghetti a pagamento», in cui tutto ha un prezzo e niente è dato per scontato, nemmeno un medico in caso di bisogno. «Questa brutale realtà, la conoscono in pochi ed è taciuta dalle istituzioni pubbliche locali, dal sistema agricolo italiano, dalla piccola e media distribuzione e dalle multinazionali dell’industria agroalimentare, che sempre più spesso si serve di questa forma coatta di sfruttamento imponendo un ribasso eccessivo dei prezzi dei prodotti», ricorda Yvan Sagnet, leader del primo sciopero dei braccianti stranieri in Italia nell’estate del 2011 nelle campagne leccesi di Nardò, difensore dei diritti dei lavoratori e autore dei libri, quali Ama il tuo sogno e Ghetto Italia, i braccianti stranieri tra caporalato e sfruttamento –, raggiunto da Riforma per commentare la morte del sindacalista maliano Soumalia Sacko, avvenuta nella settimana in cui il parlamento votava la fiducia al nuovo governo.

«Ciò che sta avvenendo, e mi riferisco agli omicidi di molti stranieri in Italia, è il risultato di un clima di odio razzista alimentato da una certa politica», denuncia Sagnet.

Soumalia Sacko aveva solo 29 anni, il tre giugno è morto raggiunto da quattro colpi di fucile mentre si trovava insieme a due amici «braccianti», rimasti feriti, nei pressi di una fabbrica abbandonata per recuperare del materiale utile per riparare le baracche dove vivono, nel ghetto di San Ferdinando.

«Una “certa” politica – rileva Sagnet – ha fatto della criminalizzazione e dell’odio verso gli immigrati e gli stranieri, una bandiera. Un clima d’odio che trova consenso in una fetta sempre più ampia di popolazione, “galvanizzata” dai risultati elettorali» e dal fatto che dalle parole enunciate «si stia rapidamente passando ai fatti».

«Le vittime di questo clima sono persone che certamente “non vivono nella pacchia”, e che prima di arrivare in Italia hanno dovuto attraversare sofferenze atroci nel deserto, torture e maltrattamenti in Libia; violenze, privazioni della libertà e della dignità. Giunte in Italia, queste persone, pensando di poter vivere una vita dignitosa sono diventate vittime dello sfruttamento delle mafie, di uomini senza scrupoli, usate come nuovi schiavi da utilizzare nelle campagne per la raccolta. Questa è stata anche la storia dell’amico e compagno Sacko. Un ex bracciante, un ex schiavo, che ha deciso di ribellarsi al suo “caporale” entrando nel sindacato per dare una mano ad altre persone nelle sue stesse condizioni».

Tra i motivi della sua morte, prosegue Sagnet «la matrice razzista; non si può sparare a un essere umano con tale brutalità e premeditazione. Un altro motivo: le condizioni di lavoro e sociali alle quali sono costretti a vivere i braccianti. Sacko è stato ucciso mentre raccoglieva lamiere in un vecchio capannone, tra l’altro sequestrato dalla magistratura, per riparare baracche fatiscenti. Se i lavoratori non fossero costretti a vivere in condizioni così precarie, non avrebbero bisogno di raccogliere lamiere per ripararsi dalla pioggia e dal freddo».

Oltre all’odio razziale e alle precarie condizioni sociali, la morte di Soumalia può essere riconducibile alla criminalità organizzata «molto diffusa in Calabria, con la ’ndrangheta che controlla il territorio».

Sagnet è stato protagonista della legge anti-caporalato, approvata definitivamente il 18 ottobre del 2016 dalla Camera dei deputati, un disegno di legge che tra le altre cose contiene specifiche misure per i lavoratori stagionali in agricoltura ed estende responsabilità e le sanzioni per i «caporali» e gli imprenditori. I voti favorevoli furono 336 con nessun contrario e 25 astenuti (Forza Italia e Lega).

«Le leggi e le norme ci sono, ma spesso sono disattese. La legge sul “caporalato” è stata approvata con sforzi enormi, proprio per contrastare un fenomeno atavico e che colpiva molti italiani ben prima dell’arrivo dei migranti africani. Questo strumento legislativo, utile alla magistratura per contrastarne il fenomeno, se non è sufficientemente supportato dalla politica non può essere applicato».

L’ultima parte della legge introduce misure di sostegno e di tutela del lavoro agricolo come il potenziamento della Rete del lavoro agricolo di qualità, che dovrebbe raccogliere, certificare e «bollinare» le aziende virtuose e un piano per la sistemazione logistica e il supporto dei lavoratori stagionali.

«Lo Stato deve farsi garante della legalità, prosegue Sagnet –, dall’altra, le imprese, devono rispettare le regole attraverso il Contratto collettivo nazionale del lavoro. Dalla Puglia alla Sicilia, ovunque, le condizioni dei lavoratori sono pressoché le stesse; una violazione spaventosa dei principi fondamentali del lavoro. Tutti noi siamo lo Stato, non esiste come qualcuno sostiene lo Stato centrale, ognuno di noi ha una parte di responsabilità e può giocare un ruolo importante: la popolazione italiana, i sindacati, le imprese».

La presenza di un gran numero di lavoratori vulnerabili e disponibili a salari bassi ha consentito a molte aziende di reggere alla crescente pressione sui prezzi dei prodotti agricoli operata da commercianti, industrie e catene della grande distribuzione «molti dei prodotti che acquistiamo nei supermercati portano l’odore del lavoro nero, dello sfruttamento; è importante porsi delle domande quando acquistiamo il cibo che mettiamo sulle nostre tavole: da dove arriva il prodotto, com’è stato raccolto, chi lo ha coltivato e in quali terreni? Se non ci interroghiamo, se non indaghiamo, potremmo alimentare il meccanismo dello sfruttamento di braccianti stranieri e della mafia che ne trae guadagno».

La mappa dello sfruttamento lavorativo e del caporalato in agricoltura ha individuato il fenomeno in 18 regioni e 99 province a dimostrazione del fatto che lo sfruttamento del lavoro agricolo e il caporalato, seppur con forme e intensità diverse, sono fenomeni ormai insediati su tutto il territorio nazionale: «la battaglia per la legalità e il contrasto alla violenza e all’odio potrà avere un futuro solo se saranno coinvolte e sensibilizzate le nuove generazioni, se saranno le scuole italiane a farsi promotrici di un’attenta sensibilizzazione. Una battaglia per i diritti e la legalità che deve partire anche dal basso grazie all’impegno della società civile. Molti giovani, purtroppo, non sono a conoscenza di ciò che gli accade intorno. Dobbiamo contrastare il male dell’indifferenza e ricordare ai giovani che il futuro del loro paese passa attraverso le loro azioni, i loro interventi, le loro decisioni, e alla loro indignazione di fronte ai soprusi e alle ingiustizie».

Fonte: Riforma.it


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