Annullare la fruibilità dei valori al momento del furto: questa messa in atto, sembra la strategia più efficace al fine di limitare il numero di attacchi, riducendoli si spera.
Da anni orma in casseforti di deposito e/o custodia di banconote sono installati sistemi/macchiatori sfusi o contenuti in buste speciali che in caso di attacco spruzzato a pressione verso le banconote un esclusivo componente macchiante ad altissima propagazione. Il liquido – rilasciato immediatamente – rende inutilizzabili le banconote, perché facilmente riconoscibili. Progettato per entrare in funzione solo a effrazione evidente, il sistema è immune da sollecitazioni dirette o indirette (automezzi nelle vicinanze, lavori in corso, percussioni, vandalismi, ecc.) ed è gestito da una centralina logica completamente autonoma nella diagnosi e nell’attuazione della scarica. False attivazioni sono scongiurate dalla completa integrazione tra le fasi di elaborazione logica dell’evento e le fasi operative di normale utilizzo del mezzoforte (accessi, vibrazioni e rumori operativi, manutenzioni, ecc.). Spesso le simulazioni di allarme vengono utilizzate da persone che desiderano screditare il sistema di protezione, per farlo sospendere e abbassare il livello di sicurezza.
I dati presentati dall’OSSIF-il Centro di Ricerca sulla Sicurezza Anticrimine, evidenziano come il trend degli atti predatori (da intendersi quali rapine e furti) ai danni di istituti di credito si è considerevolmente contratto. Nei soli uffici postali si è passati dagli 861 eventi predatori del 2003 ai 226 del periodo gen./nov. 2017.
L’inchiostro sarà un deterrente ma di certo non basta a scoraggiare malintenzionati e criminali vari. Basti considerare che nel 2016 c’è stato però un picco negli attacchi ATM. Se si prendono in considerazione i soli ATM postali si contano ben 97 furti, di cui il 47% con esplosivo. E in questo caso bisogna essere davvero fortunati a non incappare nell’inchiostro segnaletico.
I soldi macchiati sono spesso finiti nelle slot machine e nelle macchine cambia soldi, ma in realtà cercando su internet non è difficile trovare soluzioni per le operazioni di ripulitura. Un’immersione per 90 minuti in acido solforico al 60-70%, lavaggio con acqua tiepida, e neutralizzazione in soluzione al 10% di bicarbonato sodico in acqua, suggerisce mbaudino a L.Corleone, che in una chat di anni fa chiede: di che materiale è fatto il liquido colorato delle mazzette antirapina? e come lo si può levare dalle banconote?.
In realtà, la maggior parte dei solventi chimici non funziona e ogni tentativo di lavaggio e/o eliminazione dell’inchiostro antirapina implica la propagazione dell’effetto. Banconote stese ad sciugare, dubbia amletici sui solventi e rinvenimento di refurtiva macchiata hanno incastrato in più occasione i “maghi dello scasso”. Ma c’è anche chi qualche mese fa ha avuto il coraggio di presentarsi ad uno sportello per versare sul suo conto corrente. Mario (nome di fantasia) ha assistito all’operazione. C’era un collega allo sportello. Ha subito riconosciuto le banconote. Erano macchiate, forse maldestramente ripulite; comunque era chiaro che si trattasse di liquido antirapina. Ha segnalato l’operazione al direttore che ha subito chiamato la polizia. Ma il nostro è un piccolo ufficio. Come in tutti gli uffici postali non ci sono metaldetector e c’era gente nell’ufficio. La polizia avrebbe impiegato più di dieci minuti/un quarto d’ora ad arrivare. Prolungare l’operazione era davvero difficile e sospenderla implicava un rischio concreto. Se avessero avuto armi (e chi si presenta spudoratamente ad uno sportello, le armi le ha) avrebbe messo a rischio la vita propria e di altre persone. Lo so, non è giusto, ma anche io avrei fatto lo stesso. Ha fatto l’operazione come se si trattasse di un normale versamento. A operazione finita non è più possibile attribuire responsabilità. E poi? E poi, diciamo seguendo un normale iter, le banconote saranno finite tra quelle vecchie e danneggiate da mandare al macero.