Continua l’impegno di Articolo 21 a sostegno della libertà di stampa e di espressione in Turchia. In questi giorni abbiamo lanciato la campagna ‘I subscribe’ insieme ai partners internazionali, tra cui International press institute, che con noi seguono con attenzione le repressioni e le restrizioni contro le voci libere turche, non solo giornalisti ma anche attivisti, accademici, magistrati e avvocati, per i quali ieri si è svolta a Genova un’iniziativa promossa dall’Ordine forense ligure che ha visto la partecipazione del presidente della Federazione nazionale della stanpa Beppe Giulietti.
Proprio nelle ore in cui partiva la nuova campagna, Amnesty International ricordava che un anno fa veniva arrestato, solo per aver difeso i diritti umani del popolo turco, il presidente di Amnesty Turchia Taner Kilic che attende in carcere l’udienza del processo a suo carico fissata per il 21 giugno.
Nonostante la cinica repressione esercitata dal governo su oppositori e critici verso i metodi da regime voluti dal presidente Recep Tayyip Erdogan, l’attivismo per la giustizia e la libertà non è mai venuto meno né si è lasciato silenziare.
Era il 6 giugno 2017 quando i servizi di sicurezza prelevarono Kilic dalla sua abitazione con l’accusa di
appartenenza a un’organizzazione terroristica. Da allora oltre un milione di persone ha deciso di sostenere la campagna di Amnesty International in favore del suo rilascio.
“Oggi è il giorno in cui commemoriamo l’anno di vita che il governo turco ha ingiustamente sottratto a Taner Kiliç, ma è anche quello in cui vogliamo raddoppiare i nostri sforzi per ottenere il suo rilascio e quello dei tanti altri attivisti della società civile che hanno perso la libertà a causa del loro lavoro” ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International che non ha esitato a denunciare, ancora una volta, come le autorità turche abbiano creato un clima di forte paura nel Paese perseguitando senza pietà coloro che osano prendere la parola per esprimere il proprio dissenso.
Sia attivisti che giornalisti indipendenti, sono almeno 160 gli operatori dell’informazione imprigionati in Turchia, stanno pagando un caro prezzo per non essersi piegati al regime.
Ma centinaia di migliaia di persone si sono schierate dalla loro parte in segno di solidarietà
Kilic è accusato di essere un gulenista, ovvero un seguace dell’imam auto esiliatosi negli Usa, Fethullah Gulen, ritenuto ideatore del fallito golpe del luglio 2016, sulla base di un falso indizio: aver scaricato l’applicazione Bylock, che le autorità sostengono sia stata usata dai militari che tentarono il colpo di stato.
Amnesty ricorda che non è mai stata presentata una prova credibile che Kiliç abbia scaricato Bylock. Al contrario,
due esperti indipendenti hanno concluso che sul suo smartphone
non c’è mai stata traccia dell’applicazione.
Kiliç è stato rinchiuso in carcere dal 9 giugno 2017, tre giorni dopo l’arresto.
Da allora è diventato il simbolo dei tanti altri difensori dei diritti umani e attivisti presi di mira nell’ambito della repressione nei confronti dei diritti umani che ha caratterizzato il periodo successivo allo sventato push.
Un mese dopo il fermo del presidente di Amnesty Turchia sono stati arrestati altri dieci attivisti, compresa la direttrice generale dell’orgay Idil Eser.
Otto di loro sono rimasti in prigione quasi quattro mesi prima di essere rilasciati su cauzione nell’ottobre 2017, il giorno dell’udienza dell’inizio del processo.
Anche per loro l’accusa è di “appartenenza a un’organizzazione terroristica”, imputazione priva di fondamento e che la pubblica accusa non è mai riuscita a dimostrare.
Lo scorso dicembre le autorità turche hanno ammesso che migliaia di persone erano state erroneamente accusate di aver scaricato Bylock e poi arrestate.
Dopo la pubblicazione dell’elenco di 11.480 utenti di telefonia cellulare, c’è stato un rilascio di massa che tuttavia non ha riguardato Taner Kiliç.
Che Taner Kiliç sia innocente è più che evidente. La sua detenzione è una grave ingiustizia che mette in luce ancora una volta i limiti del sistema giudiziario turco e la cinica determinazione del governo a perseguitare chiunque gli si opponga.
Kiliç è in carcere perché è un appassionato difensore dei diritti umani. Per questo ci uniamo all’appello di Amnesty International che chiede alla prossima udienza sia liberato e assolto da ogni accusa per poter riprendere il suo fondamentale lavoro per il popolo turco.
Come chiediamo che siano scarcerati tutti i nostri colleghi giornalisti imprigionati solo per aver svolto al meglio il proprio lavoro.
Per sostenere ciò che resta della stampa libera turca, Articolo 21 ha lanciato ‘I subscibe’, iniziativa per sostenere testate come Cumhuriyet, storico quotidiano di opposizione che ha visto 18 tra redattori, collaboratori e vertici editoriali sul banco degli imputati, condannati lo scorso 25 aprile con l’accusa di terrorismo.
In Turchia non è mai stato così difficile difendere la libertà di stampa e la democrazia. Il Paese si è trasformato nella più grande prigione del mondo per i giornalisti con centosessanta colleghi imprigionati, ma questo non può lasciarci indifferenti. Ognuno di noi deve dare il proprio contributo, con un supporto totale ai nostri colleghi che continuano a difendere il diritto alla libertà di espressione e che non si sono nemmeno piegati sotto la pressione della giustizia.
I subscirve. http://isubscribe.media