A lanciare l’allarme sono un (ex) magistrato e un docente universitario: Gian Carlo Caselli, giudice istruttore a Torino, poi alla guida della Procura della Repubblica di Palermo e procuratore della Repubblica di Torino, ora presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Al suo fianco Stefano Masini, docente di diritto agroalimentare all’Università di Roma Tor Vergata, attualmente coordinatore della attività dell’Area Ambiente e Territorio della Confederazione Nazionale Coldiretti.
I due hanno scritto un libro “C’è del marcio nel piatto!” (Edizioni Piemme, pp. 213) proprio per spiegarci cosa siano e come funzionano le contraffazioni alimentari. Dato che il cibo è una questione che riguarda tutti, non solo chef stellati e casalinghe (o casalinghi) alle prese con la spesa quotidiana, ma chiunque si trovi al mercato con un carrello in mano in previsione di qualcosa che diverrà colazione, pranzo e cena.
Caselli e Masini sostengono che l’agroalimentare è trainante, con un giro d’affari di oltre 270 miliardi di euro, impegnando 2,5 milioni di occupati. Un pilastro dell’economia nazionale, che si avvantaggia del “grande appeal del made in Italy, un potentissimo ambasciatore di qualità nel mondo intero”. Se l’equazione “italiani: spaghetti, pizza e mandolino” è uno stereotipo duro a morire anche in tempo di globalizzazione, proprio l’ampliarsi dei mercati è in grado di solleticare appetiti non certo onesti, in vista di possibili truffe planetarie.
“Soggetti senza scrupoli -racconta Caselli- sono pronti a sfruttare, sofisticare, adulterare. Le conseguenze? Opacità, scorrettezze e veleni che ci ritroviamo a dover consumare senza saperlo”. L’indagine sul campo, condotta con il professor Masini, rivela “una vera e proprio task force criminale, composta da operatori prepotenti e spregiudicati, in grado di gettare alle ortiche il diritto essenziale alla salute e deludere l’aspettativa del consumatore in termini di gusto, natura e autenticità”. Ma è possibile sconfiggere i draghi avvelenatori del cibo? “Certo che sì, ma è necessario conoscerli e stanarli, per porre al centro della nostra spesa ciò che vogliamo in termini di sicurezza e qualità”.
Lo sottolinea da tempo Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e autore della prefazione al volume: “Conosciamo poco il nostro cibo e siamo preoccupati di quali effetti potrebbe avere sulla salute. Ma conosciamo ancor meno quali effetti abbiano la produzione e la distribuzione del cibo sull’ambiente e sulla giustizia sociale”. Tutte tematiche “non scontate e poco dibattute dai grandi media: eppure occorre comprendere l’interconnessione tra cibo, ambiente e cambiamento climatico, le tonnellate di plastica in mare e lo spreco che produciamo con nonchalance”. Le regole sono necessarie, ma spesso “messe in dubbio o violate” a causa di operatori rapaci, convinti di sfuggire alle conseguenze della giustizia.
Il genere narrativo prescelto dagli autori è la fiaba, sulle orme di Luis Sepulveda, convinto che le favole raccontino la realtà e il legame tra questa e gli atteggiamenti umani: “Scrivere fiabe è un altro modo di fare politica”, secondo lo scrittore cileno. Così sono passati in rivista scandali e truffe che hanno conquistato le prime pagine dei giornali, suscitando clamore e inchieste giudiziarie, a cominciare da quella del vino al metanolo -narrato attraverso la storia di Biancaneve- che ha fatto nascere nuovi controlli per impedire la produzione di vino adulterato e fatto senza uva.
Hansel e Gretel servono, invece, a illustrare la vicenda della mucca pazza, afflitta dall’encefalopatia spongiforme bovina, e del sistema ‘a ritroso’ utilizzato dal legislatore per ripercorre il sentiero che ha portato alle necessarie verifiche di sicurezza. Dopo 10 anni la Bse è scomparsa dagli allevamenti italiani. Sono seguite, purtroppo, altre emergenze: la diossina nel latte dei bovini, la peste suina, l’aviaria, l’influenza suina, le mozzarelle blu e così via “che hanno scoperto alcuni limiti dell’Ue”.
Tutto ciò ha favorito il nascere di nuove insicurezze e nuove fobie. “Se al problema della fame nel mondo corrisponde una sindrome dell’alimentazione perfetta -afferma Masini- che fa sì che si eliminino alimenti che potrebbero essere contaminati, infetti, alterati, arrivando alla totale esclusione di carne, pesce, verdure, burro, zucchero, uova, sale e formaggi, la tavola si trasforma in una battaglia tra bene e male, come ha giustamente ricordato l’antropologo Marino Niola”. Occorre perciò educare i consumatori, renderli più consapevoli e meno spaventati. Il problema di queste emergenze è che finiscono per gravare eccessivamente sulla spesa pubblica.
Maga Magò e Merlino illustrano -nel saggio- le pozioni e i beveroni magici: per dimagrire e sentirsi in forma, questi prodotti industriali si allontanano sempre più dalla sostanza del prodotto. Tuttavia “la chimica non può rimpiazzare un pasto completo” e quelli cosiddetti sostitutivi vanno bene dal punto di vista calorico, non per altro. Le vitamine e gli integratori sono da prendere con giudizio, e il senza non può essere la bussola che ci guida: senza sale, senza grassi, senza olio di palma… L’incapacità per alcuni di sedersi a tavola, apparecchiare e mangiare, sostituendovi il semplice ingurgitare cibi e bevande tirate fuori dal frigo o dalla confezione “è un segno di imbarbarimento”. Così come l’addizione -attraverso espedienti chimici e tecnologici- di ingredienti che servono a consumare più cibo, grazie all’assuefazione, è simile alle dipendenze dal alcool e tabacco.
Con Pinocchio si affronta la questione delle etichette e il loro potere; i prodotti si omologano, i prezzi lievitano mentre il patrimonio biologico impoverisce… il succo d’arancia cosa contiene? E l’olio non è sempre olio. La pubblicità la fa da padrona, programmata per vendere di più: è come in Aladino e lampada magica. Lo strapotere delle multinazionali è trattato attraverso Raperonzolo e la maga cattiva che la segrega. Le donne che lavorano e lo scarso tempo da dedicare ai pasti e alla loro preparazione completano il quadro.
E poi… poi ci sono le mafie, la caverna di Alì Babà e i 40 ladroni. Con la loro “crescente capacità di infiltrarsi e insediarsi nel tessuto imprenditoriale delle filiere agroalimentari -ricorda Caselli- le organizzazioni criminali rappresentano un fenomeno da mettere sotto la lente d’ingrandimento. Mostrano una naturale capacità di sfruttare fino in fondo ogni opportunità offerta dal progresso tecnologico”. Lo si coglie anche nelle varie edizioni di “Agromafie, Rapporto sui crimini alimentari in Italia”, redatto da Eurispes in collaborazione con la Coldiretti e il suo Osservatorio a partire dal 2011. Qui si solleva anche la questione dei ristoranti e alberghi che servono a ‘mimetizzare’ patrimoni finanziari accumulati con attività illecite, come rivelano le indagini delle forze dell’ordine che collaborano con le procure.
Insomma “le nuove mafie hanno “metodi soft”, come l’intimidazione e la corruzione, che lasciano da parte quelli violenti e cruenti di prima -spiega il magistrato- Agromafie e ortomafiosi sono neologismi entrati ormai nel linguaggio corrente e conosciuti non solo nella pubblicistica, ma anche all’interno di contesti giudiziari e istituzionali”. I feudatari che controllano le colture di arance, pomodori e bufale spesso sono organizzazioni criminali che si estendono dal casertano a Villa Literno, fino alla Piana di Gioia Tauro.
Per tutte queste ragioni è stata scritta una proposta di legge in 49 articoli per riformare i reati in materia agroalimentare, rimasta ferma per mesi, poi approvata il 17 dicembre scorso in Consiglio dei ministri e avviata alle Camere a legislatura praticamente conclusa. Occorre riprendere questo decalogo “per un moderno diritto penale agroalimentare” e superare gli ostacoli che si frappongo all’approvazione del ddl. “Sarebbe un primo, importante, passo -concludono gli autori- altrimenti saranno i cittadini a ‘perdere’”.