Un orrore senza fine di cui noi italiani, con le nostre bombe, siamo direttamente responsabili. E forse, anche per questo, i media mainstream non ne parlano. In Yemen si sta compiendo il massacro di un intero popolo che non ha alcuna possibilità di salvezza tra i raid aerei della coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita e gli scontri tra esercito yemenita e i ribelli huti. Se persino l ‘Unione europea mette in guardia dall’escalation in corso nel paese è facile capire che siano stati toccati i livelli massimi del conflitto e della violenza. Il portavoce del servizio esterno dell’Ue ha ricordato come nelle scorse settimane sia stato registrato un drammatico aggravamento della sistuazione, con l’incrememento delle ostilità che ha provocato centinaia di vittime in poche ore e la distruzione di infrastrutture civili.
”Un”escalation che va contro l’impegno di tutte le parti verso una soluzione politica del conflitto e si inserisce in un circolo vizioso di successive ritorsioni che rischia di compromettere gli sforzi dell’inviato speciale Onu Martin Griffiths e di mettere in pericolo la ripresa dei colloqui di pace” ha evidenziato l’esponente della diplomazia europea. Eppure, nonostante i paesi del blocco occidentale si ostinino a ribadire che “non esiste una soluzione militare al conflitto nello Yemen ma “solo una soluzione politica negoziata attraverso un processo inclusivo”, i margini per mettere fine alla guerra e ridare speranza alla stabilità e alla pace. Anche il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si dice “profondamente preoccupato” e ha ricordato a tutte le parti che devono sostenere il diritto umanitario internazionale, compresa l’adozione di misure per proteggere i civili. Ma sulle violazioni del diritto internazionale umanitario perpetrate finora non sono state avviate attività investigate in grado di andare a fondo e individuarne i responsabili.
Guterres ha anche lanciato un appello alle parti affinché si astengano da un’ulteriore escalation, ricordando loro che “una soluzione politica negoziata attraverso un dialogo inclusivo intra-yemenita è l’unico modo per porre fine al conflitto e affrontare la crisi umanitaria in corso.
Nonostante l’impegno e le parole di’ Guterres, il suo intervento non è bastato a squarciare il silenzio calato sul conflitto.
E comunque non basta auspicare una soluzione, ne criticare l’operato della coalizione guidata dall’Arabia Saudita impegnata nelle azioni militari contro i ribelli sciiti Houthi e le forze fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh che di fatto coinvolgono i civili. Bisogna interviste con delle sanzioni.
La crisi finora ha avuto un impatto devastante soprattutto sulla vita dei minori: il tasso di mortalità infantile è salito di sei volte rispetto ai dati del 2014, mentre il numero di bambini soldato reclutati dalle milizie è cresciuto di almeno cinque volte.
La coalizione guidata dai sauditi è responsabile del 60% delle morti e delle mutilazioni di bambini avvenute dal 2015 a oggi. L’alto numero di piccoli rimasti uccisi finora non è l’unico dato che desta preoccupazione e indignazione. Non va sottovalutata la piaga del reclutamento di minori. Sono migliaia. Circa il 72%, come rileva Unicef impegnata da anni sul campo, sono attribuiti ai ribelli sciiti Houthi, il 15% alle forze filo governative e il 9% a ‘Al Qaeda nella Penisola Arabica’.
L’inviato speciale Onu per il monitoraggio delle condizioni dei bambini soldato nei conflitti armati ha evidenziato che sottolineato come “tutte le parti in conflitto in Yemen continuano ad addestrare minori per impiegarli nei combattimenti. In molte situazioni monitorate dall’Onu le operazioni aree hanno contribuito a creare condizioni drammatiche nelle quali sono rimati uccisi o mutilati un gran numero di bambini utilizzati per combattere.
Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, dall’inizio dell’operazione militare lanciata nel marzo 2015 e guidata da Riad a sostegno del governo del presidente yemenita Abd Rabbo Mansour Hadi, almeno 20mila sono rimaste uccise e circa l’85% della popolazione versa in condizioni critiche e necessita di aiuti umanitari.
Il tracollo economico del paese, sia dal punto di vista umanitario che economico, sembra aver raggiunto un punto di non ritorno. L’unica speranza di una soluzione del conflitto è rappresentata dai colloqui di pace che dovrebbero riprendere in Kuwait. L’inviato delle Nazioni Unite Griffith ha annunciato che presenterà un piano al Consiglio di sicurezza entro due mesi per avviare trattative al fine di fermare la guerra in corso nel paese arabo. Griffith ha spiegato, durante una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu svoltasi ieri notte, di aver incontrato nel suo recente tour tutte le parti in conflitto e di avere “buone notizie” che presenterà entro due mesi e che riguardano nuove trattative.
Ci auguriamo che alle parole seguano presto fatti concreti. Il conto delle vite perse sale di giorno in giorno. Nell’indifferenza di tanti, troppi ‘attori’ che potrebbero fare di più.