di Paolo dell’Aversana
Scelta di vita, la sua che lo portò a rinunciare a fare gli studi teologici a Roma per continuarli a Napoli, stando nella sua terra. Scelta di vita che maturò e portò avanti ogni giorno attraverso il suo ministero pastorale nella parrocchia del Santissimo Salvatore, prima, e poi , come parroco nella Parrocchia di San Nicola, sempre a Casal di Principe. Ma anche nella Scuola, come insegnante di Religione, nella sua attività con gli scout, come assistente, come cappellano dell’Unitalsi nei pellegrinaggi a Lourdes con gli ammalati, sempre testimoniava questo amore per la sua terra.
Da questo legame con la sua terra e il suo popolo scaturiva la sua voglia di stare in tutte le cose, perfino al centro di ogni attenzione. Riusciva a donare tutto se stesso con il desiderio di sapere, di conoscere il da farsi.
Era il suo modo di vivere le problematiche più laceranti di coloro che lo circondavano o di chiunque lo cercava perche aveva bisogno di lui: lo coinvolgevano totalmente e a lui piaceva essere coinvolto. “Voleva vivere la sua vocazione fino in fondo, pur nel travaglio della fragilità umana; non dimostrava mai stanchezza né insofferenza nel servizio. Poteva anche prenderlo la tentazione del ritiro dall’impresa, di volgersi indietro, ma egli era consapevole che camminare con Dio non vuol dire restare immune dalle difficoltà del viaggio, bensì essere certi del successo anche quando gli ostacoli appaiono insuperabili.
Era il suo modo di vivere il suo ministero e questo lo rendeva più intraprendente, più coraggioso. Niente e nessuno lo prendeva in modo assoluto ma in tutte le cose entrava in una maniera tutta sua, originale, estroversa e, all’apparenza, perfino scanzonata. Ma tutte queste cose diventavano sue e ne portavano tutti i segni.
Non poteva, allora per questo suo amore, assistere impotente “al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente, vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra”. Questo scriveva nel documento “ Per amore del mio popolo” firmato dai Parroci della Forania di Casal di Principe e distribuito nel Natale del 1991.
Da questo suo lasciarsi coinvolgere dal contesto sociale in cui viveva scaturì il suo stile di essere sacerdote.
Pastore capace di sentire “in pieno la responsabilità di essere ‘segno di contraddizione, cosciente “che come Chiesa dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà” (Per amore del mio popolo).
Pastore capace di essere profeta e che chiedeva alla sua Chiesa “che non rinunci al suo ruolo profetico”.
Questa la sua vita, questa la sua testimonianza.
Per amore don Peppino si donava, ogni giorno, in tutte queste cose, senza riserve e senza rinunce e, come il suo Signore, “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv. 13, 1)