Martedì scorso, nella splendida cornice della Sala Alessi di Palazzo Marino a Milano, docenti e giovani studiosi dell’Università degli Studi di Milano hanno dato vita a un incontro sul delicato tema del femminicidio, affrontato in una maniera completamente inedita, ovvero partendo dal teatro nelle sue sfaccettature storiche. “Un teatro contro la violenza sulle donne – dall’Antigone di Sofocle alla coraggiosa denuncia di Franca Rame”, questo il tema dell’appuntamento organizzato dai docenti Alberto Bentoglio e Mariagabriella Cambiaghi con gli interventi di Nicholas Vitaliano, Isabella Gavazzi, Yulia Sobol, Carol Tassiello ed Emanuele Sanzone.
Coraggio e speranza nell’opera di Brecht
Dopo i saluti di Beatrice Uguccioni e Lamberto Bertolé, rispettivamente VicePresidente e Presidente del Consiglio Comunale di Milano e dell’Assessore alla Cultura Filippo del Corno, l’incontro è entrato dal vivo partendo da un’introduzione della professoressa Cambiaghi. La docente ha introdotto il tema con la distinzione di Brecht tra teatro aristotelico e teatro epico (il primo con un coinvolgimento emotivo maggiore, il secondo con un impegno civile e una denuncia più marcata) ponendo come esempio tratto proprio da Brecht e dalla sua opera “Madre Coraggio e i suoi figli- Cronaca della guerra dei Trent’anni”. Nell’opera emerge la violenza nei confronti della figlia della protagonista, Kattrin, muta e sfregiata dalla guerra ma al tempo stesso eroina nel salvare il villaggio da un attacco improvviso: alla violenza subita la ragazza risponde con coraggio e speranza.
Antigone, simbolo della disubbidienza sociale della donna
Coraggio e speranza sono stati i due fili conduttori dell’incontro, che è poi proseguito nelle relazioni degli studenti e dei laureati. Nicholas Vitaliano ha ripercorso il successo e la fortuna del personaggio di Antigone, che da Sofocle ai giorni nostri è divenuta simbolo di una donna che paga a caro prezzo la disubbidienza, seppur giusta, nei confronti del sistema sociale. Antigone, sorella del defunto Polinice, viene condannata all’esilio in una grotta dal re Creonte, per aver infranto il divieto del monarca di dare una degna sepoltura a Polinice. Antigone si toglie la vita, anziché essere seppellita, seguita da Emone, figlio del monarca e disperato per la scelta del padre. La storia di Antigone è l’esempio della donna vittima delle stoltezze degli uomini, figura che ispirerà molte opere teatrali e cinematografiche e l’omonima rivista in cui alcuni giuristi si battevano contro il delitto d’onore.
Desdemona e Carmen, uccise dal proprio uomo
Shakespeare regala alla storia del teatro occidentale un’altra figura femminile il cui destino è segnato dalla mano di un uomo. Isabella Gavazzi ha preso in esempio Desdemona, vittima innocente di suo marito Otello, accusata ingiustamente di essere stata infedele. Accusa frutto di un piano congegnato da Iago che fa credere che il fazzoletto delle nozze perso da Desdemona venga ritrovato nell’abitazione di Cassio. Desdemona, che muore per mano di Otello, è simbolo della donna vittima non solo della gelosia ingiustificata del marito ma anche del maschilismo di Otello che non le dà credito e crede più a Iago che alla propria moglie. Ma Desdemona è anche icona di un comportamento simile, quello delle donne che cercano sempre e comunque di giustificare i comportamenti violenti del proprio marito, vittime di una sindrome di Stoccolma che le porterà al tragico epilogo.
La stessa sorte colpisce Carmen, protagonista dell’omonima opera di Bizet, presa in esame da Yulia Sobol. La donna, che muore per mano di don José è un’antesignana delle lotte per la libertà femminile e della battaglia al femminicidio.
La denuncia di Franca Rame
Ma lo spettacolo che pone di più l’accento sulla violenza di genere e che è diventato simbolo della lotta a questo tipo di violenza è senz’altro Lo Stupro di Franca Rame. Carol Tassiello espone con chiarezza i fatti raccontati in quello spettacolo e il suo contesto sociopolitico. Siamo a Milano negli anni Settanta, anni segnati dalle violenze di stampo politico e terroristico. In quegli anni Franca Rame è impegnata, con l’esperienza de La Comune, in un teatro di denuncia vicino alla classe operaia. Nonostante lei abbia evitato con tutte le sue forze la strumentalizzazione della propria attività teatrale, cercando di trasmettere i valori sociali in spazi proletari, nel 1973 viene aggredita fisicamente e stuprata da un gruppo di 5 uomini legati agli ambienti fascisti in un furgoncino. Dopo aver perso i sensi viene abbandonata seminuda di fronte alla prefettura, scaricata come un pacco dal veicolo dove i suoi aguzzini hanno consumato l’aggressione. In un primo momento l’attrice decide di non denunciare: in quegli anni la donna che denuncia vive il trauma della violenza non solo nel momento in cui avviene, ma anche dopo, quando gli inquirenti e gli avvocati non si limitano alle domande del caso (di per sé già pesanti) ma si lasciano andare anche in insinuazioni sulla veridicità della denuncia. Franca Rame quindi esita, ma alcuni anni dopo, pur non dichiarando di esserne la protagonista, racconta il suo dramma durante il programma tv Fantastico, proponendolo come una storia letta su un periodico. Il monologo crea una profonda spaccatura nell’opinione pubblica e tra gli intellettuali, tra chi grida allo scandalo e chi sostiene la denuncia. Nel 1981 Lo Stupro diventa uno spettacolo teatrale dove non solo si ripercorre il dramma grazie alla scenografia composta solo da una sedia al centro della scena e al linguaggio del corpo dell’attrice, ma si riportano anche le domande degli inquirenti e le insinuazioni a cui si è stata sottoposta l’attrice. Non solo, l’attrice finalmente dichiara che il suo è stato uno stupro politico, con chiari riferimenti ai neofascisti, anche se la sua intenzione è una denuncia in chiave “universale” della violenza subita. A questo processo – non solo teatrale ma anche terapeutico per la Rame- va riconosciuto il merito di aver aperto il dibattito su un argomento scomodo: non come uno scontro tra uomini e donne ma come una problematica che riguardasse l’intera società, in un riuscitissimo incontro tra arte e politica.
Ferite a morte, l’amara ironia di Serena Dandini
Tra le pièce teatrali che affrontano il delicato argomento della violenza sulle donne, senz’altro in tempi recenti spicca lo spettacolo Ferite a morte di Serena Dandini.
Ferite a morte è un progetto teatrale che è andato in scena dall’Europa all’America, da cui è nato anche un libro. La scena teatrale è sobria: un grande schermo manda filmati ed immagini evocative. La peculiarità di questo spettacolo è quella di “dare a voce” alle vittime di femminicidio, come se potessero parlare in prima persona. Donne semplici, donne che hanno pagato a caro prezzo la gelosia dei propri compagni, la loro disubbidienza verso un sistema familiare che le metteva nella condizione di non poter vivere liberamente la propria esistenza, soggiogate all’eccessiva possessività di un marito o di un padre. La Dandini immagina “che queste donne fossero libere, almeno da morte, di raccontare la loro versione dei fatti, nel tentativo di ridare luce e colore ai loro opachi fantasmi; farle rinascere con le libertà della scrittura e la follia del teatro e trasformarle da corpi da vivisezionare in donne vere con sentimenti e risentimenti, ma anche se è possibile, con l’ironia, l’ingenuità e la forza sbiadite nei necrologi ufficiali”. E infatti nei monologhi non trova spazio la malinconia o la disperazione, ma le protagoniste si raccontano con un’amara ironia.
Insomma, l’incontro degli studenti della Statale è la dimostrazione di come forme artistiche come il teatro possano raccontare e farci riflettere su delicati temi di attualità, senza il rischio di cadere in una facile retorica ma anzi portare anche le nuove generazioni a riflettere su una tematica che va combattuta in primis con l’educazione.