A due anni da “Un mercoledì di maggio”, eccellente film di critica sociale – premio Fipresci alla 72° Mostra del Cinema di Venezia 2015 – il regista iraniano Vahid Jalilvand ha proposto un’altra opera complessa e struggente che apre uno spaccato drammatico sul suo paese. “Il dubbio – Un caso di coscienza” – premio Orizzonti per la miglior regia e interpretazione maschile all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, nelle sale italiane da giovedì 10 maggio con 102 Distribution – è espressione di un cinema morale che si rifà alla tradizione di Asghar Farhadi. Partendo da un caso specifico del quotidiano arriva a toccare questioni cruciali, come la morale.
Nariman è un medico di saldi principi. Anatomo-patologo presso l’istituto di medicina legale della città, una sera rientrando a casa urta con l’auto un motorino. A bordo del motociclo un uomo con la moglie e i suoi due bambini. L’incidente causa delle ferite – apparentemente superficiali – al primogenito di otto anni, Amir Alì. Nariman lo soccorre in auto, si presenta, scambia con lui qualche battuta. Quindi si offre di portarlo nella clinica più vicina per un controllo più approfondito, ma il padre rifiuta il suo aiuto. Due giorni dopo presso l’istituto di medicina legale nel quale lavora arriva il cadavere di un bambino di 8 anni, quello stesso Amir Alì coinvolto nell’incidente stradale. Le cause della morte sono oscure. Sopraffatto dalla paura di scoprire una verità scomoda, Nariman sfugge i genitori del piccolo, straziati dal dolore, e chiede ad una collega di eseguire l’autopsia. La diagnosi di morte che emerge è intossicazione alimentare da botulino, verosimilmente attribuibile a carne avariata.
Nei giorni successivi Nariman è tormentato da un atroce dilemma: è lui il responsabile della morte del bambino o il decesso è realmente dovuto al botulino, come sostiene la diagnosi dei colleghi? Nel frattempo il padre di Amir Alì è intenzionato a rintracciare chi gli ha venduto carne avariata a basso prezzo.
Quel che segue è solo una escalation di ulteriore dolore. L’intento del regista sembra quello di voler mostrare come il celare una verità, anche se scomoda, possa avere effetti di gran lunga peggiori della stessa verità. D’altronde il dubbio è una costante della vita di tutti noi tanto che talvolta ci induce a tentennare dinanzi ad una verità di cui si ha paura.
La scenografia è assai scarna, spoglia. Assente la colonna sonora – il film è retto da una ottima regia e da una eccellente fotografia – il sottofondo è una traccia audio caratterizzata da suoni rumorosi, metallici, spiacevoli: grate che sbattono e cerniere lampo, tipiche delle autopsie. Un’opera dolorosa, di riflessione, che certamente non incontrerà l’interesse del grande pubblico, ma di cui si suggerisce la visione agli amanti di un cinema meno mainstream.