Mentre da Gaza si sta tentando di far uscire 35 feriti che gli ospedali non riescono a curare e che Israele non fa passare via terra tenendoli bloccati nel suo assedio, torna alla mente la vicenda del 31 maggio del 2010, quando Israele si trasformò in pirata. Quella notte, marina e aviazione israeliane aggredirono in acque internazionali le barche che cercavano di entrare a Gaza, portando aiuti umanitari e cercando di smuovere l’indifferenza mediatica e la non conoscenza da parte dell’opinione pubblica dell’assedio israeliano della Striscia di Gaza. Assedio successivo all’evacuazione dei coloni decisa unilateralmente dal falco Sharon.
Su quelle barche c’erano attivisti di tutte le età, compresa la vecchia e coraggiosa infermiera ebrea americana Hedy Epstein e addirittura un bambino di un anno portato con sé da una mamma convinta che nulla sarebbe successo perché Israele non poteva essere criminale fino al punto di aggredire delle barche di pacifisti disarmati. Non andò così.
Dall’Italia, nel 2010, seguivamo solo in cinque persone, esattamente da Roma, quella generosa e coraggiosa impresa di numerosi pacifisti internazionali, cercando di sollecitare l’attenzione della stampa per dar loro copertura mediatica e proteggerli da eventuali attacchi israeliani.
Quando le navi, partite dal nord Europa entrarono nella parte sud del Mediterraneo, ci demmo turni di sonno di due ore a testa per restare in contatto continuo con loro. Avevamo paura che Israele potesse attaccarle. Non eravamo riusciti a dare loro la copertura mediatica sufficiente a proteggerle.
Alle 4 del mattino, da elicotteri da guerra, calarono sulla Mavi Marmara soldati armati fino ai denti. I pacifisti disarmati presero pezzi di sedili, bastoni e qualunque possibile oggetto per difendersi ma 9 di loro furono uccisi. Furono assassinati con colpi sparati alla testa che sapevano più di esecuzione predeterminata che di risposta alla reazione all’arrembaggio piratesco.
Quel mattino tragico del 31 maggio del 2010 il notiziario di “radio3 mondo” delle 6,45 diede una notizia su velina israeliana. Chi scrive chiamò “radio3” per dare la notizia vera a Primapagina ma dopo aver spiegato velocemente la situazione non riuscì a fare il nome dell’infermiera ebrea allora 85enne perché il dolore per quanto accaduto le bloccò la voce. Comunque la notizia fu ripresa dalla radio alla trasmissione delle 10 (Tutta la città ne parla). La notizia era troppo forte per essere ignorata e Rainews24 intervistò quel giorno due persone nella trasmissione di Roberto Vicaretti. Una era chi scrive, intervistata negli studi di Roma e l’altra era Vittorio Arrigoni da Gaza.
In quel momento, nonostante le direttive israeliane, ci fu molto chiasso mediatico. Ma a cose fatte! Incredibilmente, Israele, contro ogni decenza e offendendo l’intelligenza di tutti, ebbe la faccia di affermare che i suoi soldati – quelli che, armati fino ai denti, avevano aggredito in acque internazionali le barche calandosi su di esse dagli elicotteri – erano stati aggrediti ed avevano risposto all’aggressione per legittima difesa.
Le nostre voci (cioè di tutti gli attivisti) ebbero molta eco in quelle ore ma non bastò. Israele poteva contare, allora come ora, su molteplici complicità e benevolenze mediatiche oltre che sulle complicità di governi amici, tra cui il nostro, disposti, al più, a rimproverarlo per i suoi “eccessi”, senza mai mettere il dito sulla vera piaga e cioè l’assedio e l’occupazione militare.
Tra i brillanti scrittori israeliani e filo-israeliani uno, in particolare, spiccò per la sua oggettiva intelligenza: Abraham Yehoshua il quale, accusando Israele per l’azione di quella tragica notte, derubricò il crimine per la strage, oltre che per l’azione piratesca, a “stupidità israeliana”. Sì, Yehoshua scrisse che Israele aveva commesso una stupidaggine e questo fece sì che ancora una volta molte anime belle, belle ma “poco attente”, seguitarono a considerare lo scrittore come difensore di principi democratici includendo in ciò la difesa dei diritti violati dei palestinesi! Quanto poco ci vuole a cambiare il corso di quel fiume che porta il nome di verità!
Due giorni fa Hedy Eptstein, ormai 93enne, ci ha lasciati. Di lei ricordiamo la grande forza morale, la stessa che non le impedì di sostenere la causa palestinese davanti ai soldati di qualunque nazione, compresi quelli del Missouri che, nonostante la sua età, la ammanettarono e l’arrestarono per aver osato partecipare ad una manifestazione pro Palestina.
Vittorio, invece, l’anno successivo alla strage della Mavi Marmara fu ucciso per mano salafita. Le sue parole e il suo esempio però non sono morti e, con un po’ di necessaria retorica, vogliamo credere che non moriranno mai.
Intanto Israele seguita a far crescere – ormai spalleggiato alla grande dal più rozzo presidente che gli Usa abbiano mai avuto – l’odio di cui necessita per giustificare le sue azioni criminali ed arrivare all’obiettivo che era già di Ben Gurion e degli ebrei pre-israeliani, cioè l’annessione di tutta la Palestina dal Giordano al Mediterraneo.
In tutto questo continuo stillicidio di vite e accrescimento di odio, una cosa che va ben oltre la vicinanza al martoriato popolo palestinese si fa prepotentemente strada. E’ la manifesta inutilità della legalità internazionale che, grazie alla mancanza di sanzioni verso le continue gravissime violazioni israeliane, si mostra in tutta la sua pericolosa pochezza.
Al dolore, che afferisce alla sfera personale, che si prova per empatia con il popolo oppresso da un infernale meccanismo di potere di cui Israele rappresenta la parte esecutiva, si aggiunge la grave preoccupazione dovuta all’annichilimento “di fatto” del Diritto internazionale e del Diritto universale umanitario, pilastri che avrebbero dovuto sorreggere un mondo che alla legge della forza sostituiva la legge del diritto. Un mondo provato dalle tragedie del “900 e che sperava di andare verso “sorti magnifiche e progressive” ma non teneva conto di quel fiume carsico che è la legge del capitale il quale, se non si prosciuga, né si irreggimenta, troverà sempre la possibilità di distruggere quelle colonne che sembravano posare su un terreno ormai solido.
Del resto proprio nello stesso periodo in cui quei pilastri si piantavano avveniva la Nakba, palese e drammatica dimostrazione che il Diritto, se non sanziona, è solo l’orpello di una democrazia che tende a ridursi a sola parola, ormai inflazionata e ipocritamente utilizzabile a difesa di situazioni indifendibili.
Se il Diritto internazionale muore, non sarà il suo simulacro a salvare l’umanità dalla barbarie. Per questo, anche per questo, è importante chiamare i crimini israeliani col loro nome e imporre sanzioni necessarie a bloccarne la reiterazione.
Mentre scriviamo le barche cariche di feriti stanno andando verso Cipro. Forse, quando quest’articolo sarà pubblicato, Israele le avrà bloccate. Forse no. L’auspicio è che, comunque, il Diritto internazionale riprenda la funzione per cui è stato emanato.