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“Punire i colpevoli”. L’India in piazza contro la violenza sessuale

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Fece scalpore il 16 dicembre 2012 lo stupro di gruppo di Jyoti Singh, una ragazza di 23 anni, che avvenne su un autobus a Nuova Delhi. La studentessa morì per le lesioni riportate.

Quell’episodio scatenò grandi proteste. All’epoca la capitale era la città dell’India dove si registrava il più alto numero di crimini sessuali, con in media uno stupro ogni 18 ore. Il Governo, per tacitare la popolazione, decise di inasprire le pene: chi stupra rischia fino a vent’anni; lo stalking, il voyeurismo e il traffico di donne sono stati criminalizzati. Ma la piaga non sembra diminuire. L’8 aprile a Unnao, in Uttar Pradesh, una sedicenne si è data fuoco di fronte alla residenza del ministro Yogi Adityanath, esponente del Bjp (Bharatiya Janata Party), per portare l’attenzione sul suo caso di stupro avvenuto sei mesi prima ad opera di un parlamentare dello stesso Bjp, e la cui denuncia non aveva sortito alcun effetto. Lo scorso gennaio, nel distretto di Kathua, nello Stato del Jammu e Kashmir, Asina Bano, otto anni, musulmana, è stata rapita e tenuta prigioniera per una settimana in un tempio hindu e ripetutamente violentata da un gruppo di uomini di fede hindu.

I due casi hanno riportato in queste settimane la gente in piazza: a Nuova Delhi, Mumbai, Bangalore, Goa e in molte altre città. Anche il 14 aprile, in occasione della Festa del Libro Sacro della comunità Sikh, molte persone in tutto il mondo hanno sfilato con cartelli “Punire i colpevoli”. La popolazione ritiene la classe politica connivente e accusa le forze di polizia di essere troppo lenta nelle indagini.

Nel tentativo di tacitare l’opinione pubblica, il governo federale, guidato dal primo ministro Narendra Modi (Bjp), ha promesso giustizia per entrambe le vittime. E ha proposto l’introduzione della pena capitale per i casi di stupro di bambine minori di 12 anni. Un provvedimento che non ha riscosso molti consensi. Essendo infatti le violenze per la maggior parte perpetrate in famiglia, ci si chiede chi avrà mai il coraggio di denunciare un familiare – seppur colpevole – sapendo che rischia la vita.

I due casi in questione hanno connotazioni particolari: il primo perché pone sotto accusa un alto esponente politico, il secondo perché collegato alla religione. Quindi i loro iter giudiziari si preannunciano piuttosto complessi. Ma, in generale, in India la violenza contro donne e bambini è in crescita. Secondo i dati del National Crime Records Bureau, nel 2016 gli episodi di stupro di bambini sono aumentati di oltre l’82% rispetto all’anno precedente. Il Rapporto di Humans Rights Watch sottolinea, inoltre, che quando le donne stuprate afferiscono alla polizia per la denuncia, non vengono prese molto sul serio oppure vengono sottoposte a trattamenti disumani come il test della verginità. Essere ascoltate, ottenere cure mediche appropriate e un adeguato risarcimento è quasi impossibile.

«La nostra è una società patriarcale, dove il dominio dell’uomo sulla donna rimane indiscusso»: me lo disse qualche anno fa Bimla Chandrasekar, direttrice di Ekta, Resource Centre for Women (centro che dal 1990 opera per la difesa dei diritti, la formazione e l’empowerment delle donne – http://www.ektamadurai.org/), incontrata nel suo ufficio di Madurai, nello stato del Tamil Nadu. «Fino ad una cinquantina di anni fa le donne non avrebbero mai raccontato di subire violenza dal marito, non tanto perché se ne vergognassero – spiegava Bimla -, semplicemente pensavano che non fosse loro diritto parlarne. Pensavano che fosse necessario tollerare e sacrificarsi per le loro famiglie, al fine di essere brave mogli e madri. E loro volevano essere brave mogli e madri». Poi, negli anni ’70, esplose il movimento femminista; eliminare la violenza domestica era la meta. Così molte donne trovarono il coraggio di raccontare. Ciò che fino ad allora era stato considerato normale, cominciò a essere sentito come un problema. «Le donne cominciarono a ribellarsi e a mettere in dubbio l’autorità maschile, ma questo costò loro ancora più violenze e stupri. Il messaggio era e resta chiaro: quando tu donna critichi il potere maschile, tu donna perdi la tua bellezza».


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