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Paolo Giuntella: dieci anni senza sorriso 

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Cosa ci manca di più del povero Paolo Giuntella, sconfitto dieci anni fa da un maledetto tumore e costretto a dirci addio a soli sessantun anni? Dire la professionalità e la correttezza sarebbe scontato, abbastanza banale, in quanto se quest’associazione assegna ogni anno un pemio giornalistico a lui intitolato è perché evidentemente queste doti nessuno di noi le ha mai messe in discussione.
Ciò che ci manca di Paolo Giuntella è, soprattutto, il suo sorriso enigmatico, la sua felicità densa di mistero, il suo garbo e la sua capacità di narrare le vicende della politica con innata signorilità. E poi ci mancano le sue preoccupazioni, espresse sempre con toni che rifiutavano l’urlo e la barbarie, non piegandosi ad un orrore che nella narrazione contemporanea delle vicende politiche è diventata praticamente una consuetudine, alimentando la disaffezione dei cittadini e facendo sì che il quadro istituzionale si incativisca e peggiori di giorno in giorno.
Giuntella era estraneo ad ogni forma di populismo, alieno da ogni cattiveria, incapace di esprimere sentimenti diversi da una profonda bontà d’animo e valori contrari alla sua gioia di vivere e al suo amore per il prossimo.

E così, ora che è il suo turno di piccola ma meritata celebrazione, ci troviamo qui ad aggiornare la nostra personale Spoon River, riandando con la memoria ai tanti, troppi compagni d’avventura che non ci sono più e dei quali ci manca non solo l’esempio ma, più che mai, la straordinaria allegria e la capacità di sdrammatizzare persino nei momenti più difficili.
Ci manca Roberto Morrione, con la sua coerenza e il suo genio creativo. Ci manca Federico Orlando, con il suo rigore da vecchio liberale capace, tuttavia, di comprendere il segno dei tempi e di esserne protagonista, recando con sé un bagaglio d’esperienza superiore a quello di chiunque altro. Ci manca Santo Della Volpe, che una notte ad Acquasparta si lasciò andare ad un karaoke, mentre parlavamo di don Ciotti e degli albori del suo impegno missionario. E ci manca, ovviamente, Paolo che seppe trasformare in una festa collettiva persino i suoi funerali, lui ch non si era mai arreso, che aveva promosso svolte e innovazioni, che aveva contribuito allo spostamento a sinistra della DC appoggiando la candidatura di Benigno Zaccagnini e che aveva portato in RAI il suo spirito di cattolico democratico, sempre pronto a battersi al fianco e gli ultimi e dei deboli.
Paolo è stato un personaggio importante nella mia infanzia e nella mia formazione professionale e politica, quando seguivo i suoi servizi al Tg1 e cominciavo ad addentrarmi nei corridoi di una duplice passione che non mi avrebbe più abbandonato, cercando di trarre insegnamento dall’eleganza di gentiluomini come lui, sempre pronti a raccontare la complessità del nostro tempo senza lasciarsi andare a giudizi sommari o alla tentazione, oggi purtroppo assai diffusa, di rendersi protagonisti della storia anziché raccontarla con il dovuto spirito critico.

Paolo è stato, al contempo, un giornalista e un politico, nell’accezione più nobile di entrambi i termini, senza mai scadere nella miseria cinica di una stagione avvelenata dal berlusconismo e dalle conseguenze che esso ha avuto sull’intera società.
Ha raccontato con saggezza e intensità le vicende di una politica che andava cambiando nel peggiore dei modi, evolvendosi verso forme sempre più pericolose di anti-politica e qualunquismo d’accatto, il tutto accompagnato dal progressivo scadimento culturale della società nel suo insieme.
E ci ha detto addio lavorando fino alla fine, senza mai fermarsi, lasciandoci in eredità il suo amore per il servizio pubblico e la sua sconfinata passione civile. Un’eredità che vivrà per sempre in noi e nei colleghi insigniti del premio che abbiamo dedicato alla sua memoria.

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