C’è stata una stagione della nostra storia politica e civile tutt’altro che semplice o esaltante, una stagione nella quale si sparava e il terrorismo la faceva da padrone, oltre ad assistere attoniti a vere e proprie stragi che molti osservatori non esistevano a definire “di Stato”. Erano gli anni Settanta, gli anni della “non sfiducia”, dei governi di unità nazionale e del tentativo di Moro e Berlinguer di giungere ad un compromesso storico che sbloccasse la nostra democrazia imperfetta e inaugurasse un’alternanza al governo fra comunisti e democristiani resa impossibile dal cosiddetto “Fattore K” stabilito a Jalta e che sarebbe diventata realtà solamente diciotto anni dopo, con la nascita dell’Ulivo in seguito alla straordinaria intuizione di Andreatta.
Anni tremendi, dunque, resi ancora più strazianti dalla tragedia di Moro e dalle conseguenze che essa comportò, ponendo sostanzialmente fine all’epoca aurea del riformismo e della svolta a sinistra e interrompendo il delicato cammino dei diritti che, proprio nel ’78, si concluse nel peggiore dei modi, restando intrappolato nel bagagliaio della Renault 4 rossa parcheggiata dalle Brigate Rosse in via Caetani.
Eppure, di quell’anno maledetto, in cui assistemmo all’elezione di ben due papi, ricordiamo anche l’approvazione di tre riforme destinate a rivoluzionare in maniera drastica non solo il nostro ordinamento ma la nostra stessa percezione del diritto e dei diritti: la legge Basaglia che portò alla chiusura dei manicomi, la legge 194 sull’aborto, poi confermata dal referendum del 17 maggio 1981, e l’introduzione del Servizio Sanitario Nazionale ad opera di Tina Anselmi, la prima donna a ricoprire il ruolo di ministro nella storia repubblicana (guarda caso convintamente morotea!).
Un anno cruciale, pertanto, un anno destinato a segnare per sempre la nostra storia e a scardinare equilibri che sembravano inscalfibili; un anno in cui solo la saggezza e la dirittura morale della classe dirigente di allora salvò il Paese dal baratro nel quale rischiò di sprofondare.
Fu l’ultima volta, e la sensazione si ebbe già nei cinquantacinque giorni del sequestro Moro, che lo Stato italiano poté sperare di di crescere, di migliorare e di spingersial di là dei propri limiti e delle proprie numerose arretratezze. Poi il vuoto, il nulla e una sconfitta collettiva che ci portiamo dietro da allora, incapaci di liberarci della prigione interiore in cui ci siamo rinchiusi, gettando la chiave nel pozzo.
P.S. Compie ottant’anni Tony Renis. Auguri di cuore a uno dei simboli della canzone italiana nel mondo!
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