Da trentacinque anni, domina il mistero sulla scomparsa di Mirella Gregori, avvenuta a Roma il 7 maggio 1983. Erano circa le 15:30 quando uscì in fretta da casa per andare a salutare una persona che le aveva citofonato pochi minuti prima, spacciandosi per un ex compagno di classe della scuola media. L’appuntamento era a Porta Pia, a trecento metri dalla sua abitazione di via Nomentana. Dove però non sarebbe mai più ritornata.
“Inghiottita dalla terra” avrebbe detto a più riprese la madre, Vittoria Arzenton, che fino all’ultimo suo giorno di vita si è battuta con tutte le forze per scoprire che successe a quella figlia così allegra e affettuosa. L’ultima a vederla fu Sonia De Vito, figlia dei titolari dell’ex “Bar Italia”, situato all’epoca proprio sotto casa Gregori, con la quale, quel giorno, nel bagno del locale, prima del fatale appuntamento, Mirella si era fermata a parlare per circa un quarto d’ora. Un particolare che, sommato agli otto anni d’amicizia fra le due, nel corso del tempo ha indotto gli inquirenti a concentrare le loro attenzioni sulla donna. Un’azione infruttuosa ai fini della risoluzione del caso, progressivamente precipitato nell’oblio salvo quando è stato associato a quello di Emanuela Orlandi. Una luce mediatica però riflessa che, a causa della mancata individuazione di riscontri oggettivi fra le due sparizioni, ha finito per penalizzare il dramma di Mirella Gregori, facendola passare per una vittima di “serie-B”.
Invece la sua storia, ancora d’attualità come dimostra la giornata in suo ricordo organizzata a Roma lo scorso 7 maggio dall’università “E-Campus” in collaborazione con l’associazione “Penelope Lazio” dove è intervenuta anche la sorella Maria Antonietta, merita di essere affrontata con autonomia e indipendenza d’analisi. Perché se osserviamo quelle sue aree mai guardate, o nelle quali si è gettata un’occhiata generica, emergono spunti e indizi che delimitano, con chiarezza e precisione, la zona alla quale dedicare attenzione ed energie per fare breccia nel granitico silenzio che separa dalla verità. Una zona racchiusa in tre chilometri. Che, da nord a sud, va dal quartiere Nomentano al rione Monti. Che comprende i principali luoghi dell’universo sociale di Mirella Gregori: la parrocchia di San Giuseppe a via Nomentana, la scuola superiore al tempo a via dell’Olmata, il bar di famiglia a via Volturno (a due passi dalla stazione Termini) e l’ex “Bar Italia”.
Dove ai suoi tavolini sedette l’enigma principale di quest’angosciante storia: l’ignoto ‘signore degli aperitivi’. Cioè un uomo che, fino alla scomparsa di Mirella Gregori, trascorreva buona parte dei suoi pomeriggi nel locale, intrattenendosi abitualmente con lei e Sonia. Lo raccontò la signora Arzenton alla giudice Adele Rando tra il luglio e l’ottobre 1993, fornendo anche un identikit del soggetto: “Trenta-quaranta anni, altezza un metro e settanta circa, viso ovale, occhi sorridenti, accattivanti, capelli lisci bruni tagliati corti e vestiva, quando lo vedevo seduto al bar, abiti sportivi ma sobri”.
Ma la donna non solo sotto casa sua notò quell’individuo. Il 15 dicembre 1985, nella canonica della chiesa di San Giuseppe a via Nomentana, mentre col marito aspettava di esser ricevuta in udienza privata da Giovanni Paolo II, lo riconobbe fra uno degli appartenenti al servizio di vigilanza del pontefice. A meravigliarla, la contrariata reazione dell’uomo. “Ebbe nell’incontrare il mio sguardo un moto di sorpresa e di disappunto come se avesse temuto di essere riconosciuto” disse sempre a piazzale Clodio.
Casa Gregori, ex “Bar Italia”, parrocchia di S. Giuseppe. 650 metri. Dove conviene rimanere. Dove sarebbe opportuno fare dovuti accertamenti per arrivare alla verità. Specie dopo una frase al telefono di un altro funzionario della vigilanza vaticana oggi in pensione, Raoul Bonarelli, che era stato tirato dentro la vicenda perché, secondo la madre di Mirella, sarebbe stato lui l’ignoto ‘signore degli aperitivi’. Sbagliato. Ad ammettere l’errore, la stessa signora Arzenton nel confronto fra i due predisposto dalla giudice Rando il 13 ottobre 1993: “Rappresento all’ufficio che il qui presente signor Bonarelli non è la persona da me vista sedere abitualmente presso il bar di via Nomentana, intrattenersi con le ragazze”.
In quel periodo, Bonarelli aveva sotto controllo l’utenza di casa e, dopo esser uscito dal palazzo di giustizia, conversando con la moglie che gli chiese “E chi è questo della sicurezza del Papa che quella ha riconosciuto?”, rispose: “Per me è uno di quelli che stava lì intorno in quel periodo, uno di quelli che collaborava pure…che ce ne ha avuti tre o quattro di questi praticoni il prete, no?!”.
Un’affermazione ipotetica, ma dal contenuto meritevole di accertamenti. Chi sarebbero stati i tre o quattro ‘praticoni’? Per caso, uno di loro avrebbe rispecchiato l’identikit della signora Arzenton e avrebbe frequentato sia la parrocchia sia il “Bar Italia”? E se così fosse, sarebbe entrato in possesso di particolari della vita di Mirella Gregori, che a S. Giuseppe andava per il catechismo e ricevette la cresima (31 ottobre 1981)?
Particolari come l’infatuazione per un compagno di classe delle medie, carino d’aspetto, che si chiamava Alessandro. Un dettaglio conosciuto anche da Sonia De Vito e da altre amiche. Un dettaglio fondamentale per la soluzione del ‘giallo’. Perché è il nome col quale si presentò chi citofonò a Mirella quel 7 maggio. Una scelta non casuale. Perché significa che quella persona aveva preso le informazioni necessarie per tenderle la trappola fatale. Come quella che nell’orario della citofonata, 14:45-14:50, il portone del palazzo era chiuso, poiché il portiere fino alle 15 era in pausa. E le informazioni si acquisiscono dagli ambienti della vittima. O dalle persone a lei più prossime. Chi, dunque, oltre le amiche, sapeva della sua infatuazione per Alessandro?
Interpellata in più di una circostanza sull’ignoto ‘signore degli aperitivi’, il 17 maggio 2011 Sonia De Vito disse agli inquirenti: “Ho sempre riflettuto su chi potesse essere senza riuscire a darmi una risposta”. Eccezion fatta per un breve filmato della visita del Papa a S. Giuseppe, dove la signora Arzenton non lo riconobbe nei volti delle persone inquadrate, non risultano altri contributi in merito al processo di una sua possibile identificazione. Dagli atti delle due inchieste giudiziarie non c’è traccia di approfondimenti sulle persone che all’epoca dei fatti praticavano la parrocchia di S. Giuseppe, cioè ecclesiastici, laici e coetanei di Mirella Gregori. Perché questa mancata perlustrazione? E perché, fra gli oltre cinquanta contatti della sua agenda, oltre al suo ragazzo di allora, sono state sentite soltanto tre sue compagne di classe delle superiori, fra l’altro abitanti a Centocelle (quartiere a circa dieci chilometri dalla Nomentana)?
Interrogativi in sospeso per lacune enormi nell’economia investigativa del caso. Da colmare. Perché potrebbero condurre verso la sospirata verità. Oppure potrebbero spingere a cercarla nella direzione opposta. Verso sud. Verso via Volturno e via dell’Olmata.
[1. continua]