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La turbolenza argentina, dalla finanza alla politica

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L’Argentina chiede il soccorso del Fondo Monetario Internazionale (FMI), riaprendo una disputa politica che storicamente ha spaccato il paese, tra quanti l’interpretano come una pesante cessione di sovranità e coloro che sostengono invece l’apertura ai mercati internazionali come necessaria allo sviluppo dell’economia. Il bradisismo innescato nel sistema finanziario dalla turbolenza che la settimana scorsa ha inflitto una perdita del 10 per cento del valore alla moneta nazionale, ha indotto il governo a sollecitare al Fondo un prestito di 30mila milioni di dollari. Ritiene che sia la copertura indispensabile per proteggersi da attacchi speculativi e affrontare senza eccessivi rischi le scadenze del debito dei prossimi mesi e le elezioni presidenziali nel 2019.

Annunciata personalmente dal presidente Mauricio Macri (nella foto) attraverso gli schermi televisivi, la decisione ha suscitato sorpresa e apprensione anche negli stessi ambienti politici della sua coalizione, oltre che nell’opposizione e tra la gente comune. Solo la ristretta cerchia del capo dello Stato ne era al corrente. E nell’esperienza argentina gli interventi del Fondo Monetario vengono puntualmente associati all’imposizione di forti tagli della spesa pubblica, la cui applicazione gli ispettori della banca multinazionale vigilano da vicino. Comincia dunque l’ansiosa attesa dei negoziati che al di là degli interessi, previsti intorno al 4 per cento e pertanto minori di quelli correnti nel grande banking privato, stabiliranno quali saranno i costi imposti dall’FMI in termini di compressione della crescita.
Non può non cambiare, sebbene in proposito non se ne sappia ancora nulla, anche la strategia e probabilmente una parte del personale di governo. Lo scossone è forte tanto dal punto di vista finanziario quanto per il suo valore simbolico. Macri contava di contenere l’inflazione e suscitare una ripresa ancorchè flebile della produzione e dei consumi. Così da poter ridurre gradualmente la spesa sociale, sia quella diretta alle fasce più necessitate della popolazione sia i sussidi alle tariffe dei servizi essenziali, elettricità, gas e trasporti. Era la piattaforma sui cui fondava la possibilità di essere rieletto per un secondo mandato. Dovrà essere rivista a fondo e corretta. Non risulterà semplice. Lo stesso governo ha ridotto le attese di crescita e l’inflazione avanza ancora oltre il 20 per cento.
C’è da credere che nelle trattative di Washington, Macri e i suoi ministri delegati tenteranno in ogni modo di conservare la libertà necessaria per mitigare gli effetti restrittivi delle ricette dell’ FMI. Non a caso l’uno e gli altri hanno insistito nel presentare il notevole indebitamento con il Fondo come una cautela preventiva destinata a evitare eventuali emergenze in mare aperto. Poiché i pericoli da esorcizzare per il governo sono vari: dalle battaglie parlamentari che fin da subito potrebbero bloccare almeno parzialmente gli aumenti tariffari (incidendo quindi sul deficit di bilancio), alle possibili e anche probabili dissidenze interne alla coalizione con i radicali che Macri non può certo ignorare, agli umori della piazza da questo momento più inquieta che mai.


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