Era talmente bravo, sommesso e felpato nella sua recitazione che sembrava sempre passare per caso sulla scena o sullo schermo. Ma il teatro italiano ha ragione di piangere la scomparsa di Paolo Ferrari – avvenuta a Roma ad 89 anni – perché proprio sulla scena mostrò la straordinaria versatilità della sua arte, costruita con pazienza e passione all’ombra di grandi maestri da cui seppe apprendere sempre un mestiere della recitazione fondendo esperienze e stili molto diversi.
Memorabile la sua presenza nell’“Opera da tre soldi” di Brecht sul palcoscenico del Piccolo Teatro di Milano con Giorgio Strehler e poi nella sua collaborazione con Luca Ronconi. Per il grande pubblico però diventò il “Signor Ferrari” grazie alla pubblicità in tv di una nota marca di detersivi e poi per gli sceneggiati che connotava spesso da splendido co-protagonista come nel “Nero Wolfe” in coppia con Tino Buazzelli.
Ma la sua storia d’amore con la recitazione comincia molto prima, addirittura nel 1938 quando Alessandro Blasetti sceglie quel piccoletto di appena nove anni per un’apparizione nel suo “Ettore Fieramosca”. Lo aveva ascoltato alla radio, giovane balilla in una serie di trasmissioni dell’Eiar. E da quel momento il figlio del console italiano a Bruxelles (dove era nato il 26 febbraio del ’29) non avrebbe mai più smesso di recitare.
Prima della Guerra lavora con Brignone, Gallone e poi con Sergio Tofano in un riuscito “Gian Burrasca” del 1943. Passano appena cinque anni e Ferrari si ripropone con vecchi e nuovi maestri: Blasetti (“Fabiola” in cui viene accreditato come Tao Ferrari), Mattoli, Steno, Zeffirelli. Intanto è tornato anche alla radio dove si impone grazie a una voce coltivata e modulata, al timbro confidenziale, a una capacità mimetica di catturare i toni interpretativi “all’americana”: un’esperienza che gli sarà preziosa come doppiatore, mestiere in cui si impone con una personalità che adatta, di volta in volta, ai più grandi divi hollywoodiani, Humphrey Bogart per primo.
In tv fa coppia con Vittorio Gassman nel “Mattatore”, conduce “Giallo Club”, duetta con Ave Ninchi e Paolo Stoppa, finisce perfino sul palcoscenico del Festival di Sanremo che conduce nel 1960 insieme a Enza Sampò. Sono tutti segni di un talento multiforme che incarna una nuova Italia, fiduciosa del futuro, garbata e gentile nei rapporti umani, desiderosa di specchiarsi nell’eleganza innata di quell’attore che sa sempre replicare con un sorriso e una battuta sdrammatizzante. Il cinema piace a Paolo Ferrari che alla fine interpreterà oltre 40 lungometraggi, ma è la televisione a dargli la notorietà, il doppiaggio a garantirgli una carriera costante e senza scosse, mentre il teatro resta il suo grande amore coronato dal Premio Gassman alla carriera nel 2006. Negli ultimi anni, dopo felici apparizioni in miniserie come “Oltraggio”, “Incantesimo”, “Notte prima degli esami”, si era ritirato in campagna, vicino a Roma dove era stato colpito da una lunga e dolorosa malattia che lo ha portato alla morte.
Sposato due volte con compagne di lavoro (prima Marina Bonfigli e poi Laura Tavanti che gli è stata vicina fino agli ultimi giorni) ha avuto tre figli, il maggiore dei quali Fabio ha seguito le sue orme come attore recitando con lui in “Notte prima degli esami – la serie”. Difficile scegliere tra le sue interpretazioni più belle. Per il grande pubblico rimarrà però indimenticabile il suo Archie Goodwin, segretario, detective e confidente per Nero Wolfe nell’omonima serie televisiva dai romanzi di Rex Stout: 10 episodi girati tra il 1969 e il 1971 con un taglio ironico e brillante che permisero a Paolo Ferrari di disegnare un personaggio a tutto tondo, con abile adattamento dell’indimenticabile Archie allo stile di Bogart che sul grande schermo degli italiani aveva la stessa voce. Negli ultimi anni amava dire: “dedico molte ore della giornata alla meditazione: quel lasciar scorrere i pensieri e i ricordi senza fissarli, mai forzandoli per cercare nel fondo di noi i frammenti della memoria e dell’illusione”. (ansa\spettacolo)