di Veronica Di Benedetto Montaccini e Francesca Candioli
Ci siamo dentro fino al collo. Il primo taccuino ha finito le pagine, il secondo mese di lavoro è passato. Ornai possiamo dirlo: sappiamo tutto del tema dell’inchiesta. Possiamo citare cifre a memoria, parlare con tecnicismi anche davanti a grandi nomi, fare previsioni per il futuro di questa questione. Ma poi…l’inchiesta ti frega. Decide lei. Dopo ogni incontro, scopriamo un tassello che non avevamo. Dopo ogni intervista sbobinata, c’è un particolare che va fuori dagli schemi. E ci ricorda che stiamo raccontando una realtà complessa. In questo secondo mese abbiamo imparato il bello del sorprendersi.
Lasciarsi sorprendere nel non trovare esattamente il tipo di “cattivo” che ti aspettavi. Gli appuntamenti con i vari amministratori delegati, che sono la controparte della nostra inchiesta, sono stati più sottili dell’atteso infatti.
Sorprendersi a superare i propri limiti pur di portare a casa le immagini, rischiandosela con un ruolo studiato e delle riprese sotto copertura.
Meravigliarsi per una dimestichezza insperata con le telecamere nascoste, prestate dal nostro tutor Federico Ruffo (in fondo basta poco: ce le ha lasciate in cambio di qualche consiglio da donne!).
Stupirsi davanti ad una squadra così unita, così complice: qualche sguardo e le inquadrature si creano da sole.
Sorprendersi su come le persone a cui saremo utili lo stanno sentendo, e ci stanno aiutando e supportando quotidianamente.
Capire con stupore che se prima vedevamo solo una fila di interviste, adesso iniziamo a pensare ai raccordi che costruiranno il racconto.
Ristudiare i dati e sorprendersi di nuovo. Perché c’è del marcio anche dove avevamo messo solo i buoni. E ricominciare da lì.
Essere sorprese di come a volte gli ostacoli più grandi siano logistici: un b and b senza scale quando il tuo intervistato ha 90 anni, un diluvio improvviso, un cambio location, una sveglia alle 5 di mattina quando sei andato a letto alle 3, una legge della seconda guerra mondiale che non ti permette di fare le riprese in stazione.
Ma gli imprevisti diventeranno aneddoti, ne siamo certe. Un’inchiesta nasce da qualcosa che ci fa molto arrabbiare, che ci sembra ingiusto e poco chiaro. Per questo poi diventa parte della tua vita per quel periodo in cui te ne occupi e la coltivi come un giardino. Lo sanno bene i nostri malcapitati amici non giornalisti, a cui parliamo solo di questo 24 ore su 24. A proposito di sorprendersi: la grande sorpresa è che sono ancora tutti curiosissimi del lavoro e vogliono saperne sempre di più.