Ogni volta che incontro i miei ragazzi nelle scuole d’Italia, faccio ascoltare loro il boato dell’esplosione scatenatosi ventisei anni fa a Capaci. L’effetto sonoro fa tremare i muri delle aule dove discutiamo e ci confrontiamo sui temi che riguardano le mafie. Da quel fragore terribile cerco di stimolare in loro la forza dell’esempio che ci hanno lasciato Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, gli uomini della sua scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e tutte le vittime innocenti di mafia. Li hanno ammazzati fisicamente ma moralmente le loro idee e il loro senso del dovere devono continuare a camminare nelle gambe dei nostri giovani: questo vuol dire ricordare oggi Giovanni Falcone e con lui tutte le vittime della criminalità organizzata.
E’ questa l’ultima speranza che ci resta giacché le mafie sono diventate invincibili proprio grazie a quelle persone e quelle istituzioni che hanno lottato con ogni mezzo il magistrato quando era in vita. Falcone, assieme al suo mentore Rocco Chinnici e a Paolo Borsellino, fu il primo a smascherare realmente i meccanismi criminali della mafia. Nel 1983 fu uno delle menti pensanti del “pool antimafia” che portò al grande maxiprocesso del 1987 entrato nella storia mondiale come esempio di lotta al crimine organizzato. Non dobbiamo dimenticarci che rinunciò consapevolmente alla propria vita privata per portare a termine il suo lavoro, per il profondo senso del dovere che sentiva e per l’amore e il senso dello Stato che era insito in lui.
Oggi le mafie “moderne” non sparano più, non fanno saltare in aria i magistrati, non fanno parlare di sé, sono “invisibili” ma molto più pericolose e letali di un tempo poiché si mimetizzano nella società civile e nelle istituzioni dello Stato avvelenandole lentamente. Affinché Falcone sia degnamente ricordato, nessuno di noi pensi di essere immune dal cancro mafioso, nessuno pensi che l’argomento non lo riguardi, perché la mafia non è solo quella dei grandi capi e dei grandi affari internazionali, la mafia è prima di tutto uno “status” mentale che va combattuta e sradicata sin dall’infanzia. E’ un “cancro mentale” che va estirpato senza esitazione. Occorre rigurgitare quel senso di abitudine a tollerarla accettandone passivamente la convivenza. Chiedo a chi mi leggerà di ricordare coloro che la mafia l’hanno combattuta fino in fondo non solo oggi ma in ogni occasione – in famiglia, nelle scuole, nei mass-media – tutti i giorni dell’anno. Abbiamo l’obbligo morale di testimoniare la verità in un clima dove prevalgono sempre più l’indifferenza, il silenzio, la falsità che fanno prosperare e rendere ogni giorno più forte il potere mafioso.
Giovanni Falcone deve vivere dentro ognuno di noi e sono convinto ci venga a cercare chiedendoci soltanto un piccolo “sacrificio”: fare il nostro dovere. Per quanto mi riguarda Falcone mi afferrò per mano e mi spinse verso la legalità rendendomi profondamente responsabile quando nel febbraio del 1992 mi scrisse una frase che resta come monito per tutti i giovani di buona speranza: “Continui a credere nella giustizia, c’è tanto bisogno di giovani con nobili ideali”. Con questa semplicissima frase, allora come oggi, ci dice che tutti possiamo essere dei buoni cittadini facendo soltanto il nostro dovere, confidando nella giustizia e nei valori della nostra Costituzione. La sensazione che provo, sarei vile se non la scrivessi, soprattutto nelle occasioni di commemorazione, è che Falcone sia morto per nulla e che la mafia stia per sconfiggere definitivamente lo Stato poiché quest’ultimo ha perso inesorabilmente la sua credibilità. Tale sensazione si sta trasformando in convinzione e vorrei ricredermi trovandomi domattina dinanzi a uno Stato che cominci a lottare mafie e corruzione con ogni mezzo, utilizzando le migliori menti a disposizione. Oggi purtroppo non è così: più il tempo passa nella totale inerzia dei tanti e più le mafie diventano invincibili!
Vincenzo Musacchio, Giurista, presidente dell’Osservatorio Regionale Antimafia del Molise