La corsa verso la rielezione di Erdogan sembra procedere senza grossi intoppi mentre continuano a susseguirsi arresti di massa in Turchia. Nelle ultime ore, a un mese dal cruciale voto presidenziale e parlamentare anticipato di un anno e mezzo, oltre un centinaio di persone sono finite in carcere con l’accusa di legami con la presunta rete golpista di Fethullah Gulen, imam auto esiliatosi negli Stati Unit ritenuto ideatore del fallito colpo di stato del 15 luglio 2016.
Almeno una trentina dei sospettati sono esponenti delle forze armate finiti in manette in un’operazione di polizia coordinata dalla procura di Adana, nel sud del Paese, e condotta in 13 province. Altri 20 mandati di cattura contro soldati ritenuti “infedeli” sono stati emessi dai procuratori di Smirne, cittadina sulla costa egea, che ha ordinato blitz in 4 province, tra cui la capitale Ankara.
Gli arresti hanno inoltre riguardato anche insegnanti, funzionari della pubblica amministrazione e operatori dell’informazione, portando il numero dei giornalisti in carcere a 168. Intanto il Sultano continua a fagocitare ogni spazio sui media, lasciando in un cono d’ombra l’opposizione.
Ieri, in un discorso pubblico per la presentazione ad Ankara del manifesto elettorale e le liste dei candidati del partito di maggioranza, l’Akp, mandato in diretta dalla tv di Stato, ha dichiarato di essere sicuro di vincere le elezioni presidenziali con una percentuale “ben al di sopra del 50%”.
Durante l’intervento, molto accorato, il presidente uscente non ha lesinato promesse di grandi opere, con il rilancio economico del Paese e, da non credere, il miglioramento dei rapporti della Turchia con Ue e Stati Uniti.
Ma prima di tutto Erdogan ha garantito chemetterà in atto misure che freneranno l’inflazione che ha raggiunto livelli di guardia, è da tempo sopra il 10%, per far crescere l’economia e assicurando di conseguenza l’aumento dell’occupazione, soprattutto quella femminile.
Erdogan si è poi detto convinto che dopo il voto del 24 giugno, grazie soprattutto alla riforma del sistema politico in chiave presidenziale dello scorso anno, miglioreranno le condizioni di sicurezza. Anche perché il contrasto a tutte le organizzazioni ritenute teroristiche non arretrerà di un millimetro.
E l’opposizione? Nei pochi, ridottissimi, spazi che riesce a ritagliarsi parla di temi molto diversi, la coesione sociale e la pace, su cui punta particolarmente la campagna elettorale del Partito repubblicano del popolo, principale formazione di minoranza in Turchia.
Il Chp si concentrerà sulle diseguaglianze economiche e sociali e proporrà un potenziamento dello stato sociale come annunciato oggi, durante il lancio della sua campagna, dal candidato alla presidenza Muharrem Ince, già deputato del Chp per la provincia di Yalova sul Mar diMarmara. Presentando il manifesto elettorale del partito il leader republicano, Kemal Kilicdaroglu, ha delineato le cinque principali tematiche – nonché problematiche – che caratterizzano la Turchia.
In primo luogo, l’economia in crisi nonostante la crescita del 7,4 per cento su base annua registrata nel 2017. Vi sono poi la pace sociale, la democrazia e lo stato di diritto, l’istruzione e la politica estera. Nonostante il grande impegno, soprattutto sui social, per propagandare le proprie proposte l’opposizione purtroppo non riesce ad arrivare al grande pubblico a causa della forte censura attuata dai media sotto il condizionamento del regime turco.
Ma come si preparerà la comunità internazionale a seguire queste importanti elezioni? Al momento sono annunciati 380 osservatori internazionali per monitorare lo svolgimento di un equo e corretto voto per le parlamentari e le presidenziali.
L’Organizzazione per la sicurezza e la collaborazione in Europa fa notare che il numero è notevolmente più ampio rispetto a quello messo in campo per il referendum sul presidenzialismo dell’aprile dello scorso anno, poco meno di un centinaio.
Non ci sarà, invece, nessun membro del Parlamento europeo come osservatore che, di conseguenza, non commenterà né il processo né i risultati del voto. Insomma, un modo come un altro per lavarsene le mani e scongiurare di trovarsi nelle condizioni imbarazzanti di dover contestare la legittimità del processo elettorale. Cosa, che i dati di fatto, stanno già ampiamente evidenziando.
Ancora una volta l’Europa abdica al suo ruolo di equilibrio democratico su cui ha basato la propria Costituzione.