La metafora del potere è il tema che accomuna i tre classici del Festival di Siracusa. La regia di Emma Dante, una delle più interessanti espressioni del teatro contemporaneo, incontra arditamente la modernità di “Eracle” di Euripide, restituito con muliebre mano dai tratti “erculei”. Il risultato è un’esplosione di creatività, in una girandola inarrestabile polisemica di furori e vezzi, di vecchie beghine traballanti e precarie come la vita o ruotanti come dervisci, di lavacri festosi e funebri, di un padre in sedia a rotelle con cadenza palermitana, di Iris e Lyssa, inquietanti aliene dea/insetto, di suggestioni sonore arcaiche e contemporanee, su una linea d’ombra che straripa ardita, con il piglio grottesco e intenso di una classicità rivisitata, non elusa, vivificata da nuove strategie, innervata in una tensione costante, senza un attimo di respiro.
La storia tracciata da Euripide si discosta dal mito tradizionale per restituirci un Eracle inedito, eroe benefattore, qui volutamente “dopo” avere compiuto le mitiche fatiche, toccato da “astratti furori”, come alcuni padri a noi coevi, fragile e terribile nella devastazione della mente, ma non del braccio. Una caduta rovinosa che annienta e offusca la fama dell’inclito, pur inconsapevole dell’eccidio perpetrato nella furia della follia degenere.
In un crescendo di morte annunciata, sullo sfondo di una marmorea parete cimiteriale fitta di ritratti funebri e maschere di morte, tra suoni di tamburi e grida scomposte, si apre la scena. A Tebe regna Lico, assassino e successore di Creonte. Tiranno crudele e solo, come tutti i tiranni, vuole distruggere la famiglia di Eracle, rivale del suo potere. Il generoso eroe è sceso nell’Ade a compiere una ennesima impresa, ma non è più ritornato. Lo si crede morto. Anche la moglie Megara si appresta ai lavacri rituali prima di essere uccisa insieme ai figli. Il ritorno inaspettato dell’eroe sembra rovesciare le sorti dell’infelice famiglia. Eracle uccide il tiranno e si appresta a godere della sua fama e dei suoi affetti familiari, ma gli dei hanno deciso altrimenti.
Era, gelosa e vendicativa, tramite Iris comanda alla sua emissaria Lyssa di invadere la mente dell’Eroe, odiato figlio di Giove e Alcmena. In un batter d’ali la follia si impossessa di lui e la forza e il coraggio di Eracle si rivolteranno contro i suoi cari, in un inconsapevole, orrendo eccidio, inenarrabile, a detta di un vibrante messaggero. Solo il vecchio padre, dolente superstite, salvato da Atena che colpisce l’invasato con un sasso, fermerà la strage. Ritornato alla crudele realtà Eracle non regge a tanto strazio, meditando il suicidio. In quel terribile frangente giunge Teseo ad accogliere tra le sue braccia l’autore di tanto orrendo crimine, grato a colui che un tempo gli salvò la vita, offrendogli affetto e ospitalità. Dopo un momento di esitazione Eracle accetterà il conforto e la pietas dell’aiuto amicale, lasciandosi alle spalle i poveri morti, per ritornare coraggiosamente alla vita. Sconterà la sua colpa vivendo.
Dilagando nel grande spazio scenico del teatro greco, la mise en scène lo domina, travolgente, con una dinamica rappresentazione ricca di effetti speciali, invenzioni sceniche, movimenti corali calibrati, filtrati dalla visione grottesca, a tratti irriverente, ma sempre profondamente seria di una regista che non concede tregua, scavando il tessuto narrativo, scardinando e affermando al tempo stesso i principi di una teatralità classica corrosa ed esaltata da rovesciamenti di ruoli maschili interpretati da donne, da ruoli femminili interpretati da uomini, tendendo al massimo l’arco della forza interpretativa di un imponente cast dalle prestazioni eccellenti, tra cui da sottolineare l’Anfitrione umanissimo di Serena Barone, la Megara regale di Naike Anna Silipo, il potente coro metamorfico, grande protagonista.
Un cast i cui corpi non conoscono soste e limiti, nello stile inconfondibile di una regia adagiata sull’incertezza come valore assoluto, veicolata da indifferenziate identità, scomposte in gesti reiterati evocativi di Pupi siciliani, quadri fiamminghi, danze serpentine del Muto di Loie Fuller, affastellati in un formidabile unicum che mira dritto al nucleo del dramma esistenziale, dove la Vita e la Morte si fronteggiano epicamente, tra scarti e fragilità laceranti, per restituire la dignità della precarietà del destino degli uomini e nuove direzioni di percorso a ciò che è noto, al tempo stesso dando risalto a ciò che si cela.
La monumentale scenografia, evocativa e funzionale, l’accurata e artistica realizzazione dei costumi esaltata dalla incessante mobilità dei corpi fino alle chiome, da suggestioni estetiche e sonore, come le corone di fiori magicamente apparse dalle gonne rovesciate, la fitta rete di gesti e di timbri, restituisce una visione drammaturgica coesa, intensa, catturante e originale, sulle ali del raffinato linguaggio poetico del testo. l’Eracle di Euripide in questa versione della Dante che ancora una volta non si smentisce, sorprendendo e spiazzando costantemente con la sua accuratissima e puntuale creatività, conserva i tratti essenziali di un’opera d’arte che sfida il tempo, consegnandoci a un presente irrorato da preziose contaminazioni di dirompente bellezza.
ERACLE di Euripide
Traduzione di Giorgio Ieranò
Regia di Emma Dante
Con Serena Barone, Naike Anna Silipo, Patricia Zanco, Mariagiulia Colace,Francesca Laviosa, Arianna Pozzoli, Katia Mirabella, Carlotta Viscovo, Sena Lippi, Isabella Sciortino, Samuel Salamone
Coro : Alessandro Accardi, Mauro Cappello,William Caruso, Antonio Cicero Santalena, Alessandro Difeliciantonio, Giacomo Lisoni, Andrea Maiorca, Roberto Mulia, Salvatore Pappalardo, Stefano Pavone, Riccardo Rizzo
Danzatrici: Sabrina Vicari, Mariella Celia, Silvia Giuffrè
Musiciste : Serena Ganci, Marta Cannuscio
Scene: Carmine Maringola
Costumi : Vanessa Sannino
Musiche di scena : Serena Ganci
Coreografie : Manuela Lo Sicco
Disegno Luci: Cristian Zucaro
Produzione: INDA ( Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa)
TEATRO GRECO DI SIRACUSA fino al 23 Giugno