Di Maio su e giù con i “due forni”

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Luigi Di Maio ha acceso e spento i “due forni” aperti con la Lega e il Pd, ma una fiammella brilla ancora in quello del Carroccio. Giulio Andreotti inventò l’immagine dei “due forni” attraverso i quali la Dc poteva acquistare a buon mercato “il pane” necessario per formare i governi. Lo scudocrociato aveva circa il 40% dei voti, ma non la maggioranza assoluta dei consensi popolari e dei seggi in Parlamento. Così il cavallo di razza della Democrazia Cristiana riuscì a guidare sia governi di centro-sinistra con il Psi sia esecutivi di unità nazionale con il Pci, mitigando le pretese dei due partiti di sinistra messi l’uno contro l’altro.

Anche Di Maio ha aperto “due forni” proponendo alternativamente sia alla Lega e sia al Pd un’intesa di governo. Ma il capo politico del M5S, forte del 32% dei voti dopo le elezioni politiche del 4 marzo, non è riuscito ad attivare nessuno dei “due forni”: prima è fallito il tentativo con il Carroccio («Dopo 50 giorni il forno della Lega è chiuso») e adesso quello con i democratici («Il Pd ha detto no ai temi per i cittadini e la pagheranno»).

Tuttavia Di Maio, dopo il flop del dialogo avviato con il Pd per lo stop dell’ex segretario Matteo Renzi messo sotto accusa da una fetta del partito, ha riacceso una fiammella con la Lega, quella delle elezioni politiche anticipate: «Io dico a Salvini, andiamo insieme a chiedere di votare» per aprire le urne “a giugno”. Dopo i toni moderati usati nelle consultazioni sul governo, ha riabbracciato la linea movimentista: «Facciamo scegliere i cittadini tra rivoluzione e restaurazione». Ovviamente cinquestelle e leghisti sono la “rivoluzione” mentre tutti gli altri partiti, in testa Pd e Forza Italia, sono la “restaurazione”.

La richiesta, strana coincidenza, collima con quella della Lega. Matteo Salvini per primo aveva proposto di tornare alle urne «subito, entro l’estate» (leggi giugno) se fosse saltato «l’accordo contro natura» del forno con il Pd. Non solo. Il segretario leghista adesso si dice pronto ad assumere un pre-incarico per il governo e rilancia la proposta di un esecutivo del centro-destra con i grillini: «Si ragiona con i 5 Stelle o altrimenti c’è il voto».

L’asse per andare a votare di nuovo a giugno, si somma con quello di riprovare a dare vita a un governo M5S-Lega. Le altre ipotesi di governo sono cancellate: sia Di Maio sia Salvini hanno bocciato come una “ammucchiata” un eventuale esecutivo del “presidente” o tecnico, di larghe intese per rivedere l’attuale legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum, con l’innesto di un premio di maggioranza. I due leader populisti si sono scambiati reciproci attestati di stima e dopo le politiche hanno realizzato una rapida intesa istituzionale con la quale si sono spartiti i vertici della Camera e del Senato.

L’approdo al “governo del cambiamento” finora è fallito per due motivi: 1) sia Di Maio sia Salvini vogliono fare il presidente del Consiglio, 2) il secondo ha respinto la richiesta del primo di mollare Silvio Berlusconi ed ha ribadito la volontà di non rompere l’unità del centro-destra (la coalizione conta sul 37% dei voti mentre il segretario della Lega da solo ha poco più del 17%).

All’apparenza sembrano due ostacoli insuperabili al varo del “governo del cambiamento” Lega-M5S, ma l’inventiva della politica italiana riesce sempre a stupire tutti. Uno dei due leader potrebbe farsi da parte per Palazzo Chigi ottenendo in cambio dei ministeri importanti. Berlusconi, sul quale pesa il veto dei pentastellati, potrebbe far parte della maggioranza ma non dell’esecutivo. Comunque vada a finire, un fatto è certo: Di Maio ha riacceso la fiammella del “forno leghista”. Ma la partita è ancora tutta aperta. Sergio Mattarella fino all’ultimo cercherà di verificare nelle sue consultazioni se esiste una maggioranza in Parlamento per sostenere un “governo del cambiamento”, o un esecutivo “del presidente”, o istituzionale, o di natura diversa  (Berlusconi sarebbe favorevole a un ministero di centro-destra che cerchi i voti mancanti in Parlamento). Un fatto è sicuro: non ci sono più i tempi tecnici per riaprire le urne a giugno.

Certo non c’è più tempo da perdere. A due mesi dalle politiche l’Italia ancora non ha un governo mentre i gravi problemi economici, sociali, internazionali si aggravano. Agli elettori grillini non sembra essere piaciuta la politica dei “due forni”, mentre Salvini sta marciando come un treno: il centro-destra ad aprile ha vinto sia le elezioni regionali in Friuli Venezia Giulia sia in Molise, i leghisti hanno trionfato mentre i pentastellati hanno perso un mare di voti rispetto alle politiche.


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