Nei giorni in cui l’America arresta Harvey Weinstein, condanna e mette all’indice uno dei più potenti uomini dello star system e fa della molestia contro le donne un reato da perseguire penalmente e pubblicamente; nei giorni in cui la “cattolicissima” Irlanda cambia pagina, chiude col passato e con un quasi plebiscito (quasi il 70 per cento a favore) dice si al referendum sull’ aborto; nei giorni in cui le istanze di un nuovo movimento delle donne partito proprio dall’America stanno soffiando in tutto il mondo (in occidente come nel mondo arabo), l’Italia si ritrova – fanalino di coda, pecora nera- a fare i conti con la sua arretratezza in merito alla questione femminile, con i suoi passi indietro, con il suo maschilismo prorompente, con il suo profondo deficit in materia di parità di genere. Un deficit che rischia di rappresentare il vero spread, nonché un vulnus per la democrazia del paese. Questione di disuguaglianza nella rappresentanza e nella rappresentazione. Questione di diritti calpestati, non riconosciuti, sottratti. Questione di spazi negati. Questione di violenza diffusa, di femminicidi in aumento. Questione di ingiustizie quotidiane e di soprusi sulla pelle delle donne.
Partiamo dalle “conquiste conquistate”, come il diritto all’interruzione di gravidanza.
A quaranta anni (40) dall’ entrata in vigore della legge 194 (conquistata, voluta da milioni di donne), si moltiplicano i casi di obiezione, le denunce di non applicazione, le statistiche che ci dicono: tornano gli aborti clandestini, sono in aumento. Ginecologi che si rifiutano di operare nelle strutture pubbliche, ma lo fanno in privato, dietro laute parcelle. Consultori che chiudono. Centri antiviolenza che vengono sfrattati.
A Roma, sabato 26 maggio, insieme alle associazioni del movimento femminista, nella manifestazione a piazza Vittorio c’era anche il sindacato, la Cgil, per difendere la libertà delle donne e ribadire il diritto alla scelta, all’ autodeterminazione. Diritto che dovrebbe essere scontato, acquisito. Insomma, conquista che non si tocca. Un allarme che una vasta rete di associazioni di donne, esponenti della politica, delle istituzioni, della cultura e del mondo accademico ha sentito l’esigenza di mettere nero su bianco, con una lettera aperta alle parlamentari della xviii legislatura dal titolo ‘le donne sono qui’. Lettera in cui si denuncia la non applicazione della legge 194 e l’oscena propaganda mediatica, sempre piu’ insistente, sempre piu’ pervasiva, ai danni della libertà di scelta delle donne.
Diritti acquisiti vengono rimessi in discussione. E anche spazi acquisiti vengono messi in discussione, con l’obiettivo di chiudere, di sbaraccare; di sottrarre piuttosto che di aggiungere. E’ quanto accade, proprio in questi giorni, alla casa internazionale delle donne di Roma. Una struttura che ospita quaranta associazioni di donne, frequentata da migliaia di persone, un laboratorio di cultura, un servizio h. 24 per le donne violentate o in difficolta’, un archivio di documenti, video e foto che di per se’ e’ un pezzo di storia.
Un punto di riferimento storico per i movimenti femministi e non solo, insomma, diventata nel tempo un’ istituzione per la citta’. Da piu’ di venti anni, dopo lo sfratto dal palazzo del governo vecchio nei lontani anni settanta e dopo un periodo di occupazione, la casa mise radici nel complesso del buon pastore, vicino al carcere Regina Coeli di roma. Un immobile del ‘600 di proprieta’ del comune che fu concesso alle donne dalle precedenti amministrazioni capitoline, con tanto di contratto di servizio. Questa casa, con il suo portato di esperienza forse unico nel mondo, potrebbe avere i giorni contati. E’ sotto attacco.
Proprio nei giorni della condanna a Weinstein e del si all’ aborto in irlanda, accade che la capitale d’italia rischi di perdere la sua casa internazionale delle donne. La giunta cinquestelle ha mandato una sorta di avviso di sfratto, ha deciso di proporre la chiusura di un luogo che dovrebbe essere considerato bene comune, fiore all’ occhiello della citta’. Proprio la prima sindaca donna della capitale, Virginia Raggi, ha messo tra i primi punti delle priorita’ della sua agenda la chiusura di questa esperienza, definita “fallimentare”. Un sit in di protesta in Campidoglio, frutto di un tam tam spontaneo, ha visto la partecipazione di migliaia di donne, indignate per l’attacco portato a una struttura che funziona. “la casa e’ di tutti, la casa non si tocca.”
Le giornaliste e i giornalisti hanno dato il loro sostegno alla casa delle donne, difendendolo come spazio di cultura e luogo di democrazia. Il presidente della federazione della stampa Beppe Giulietti, l’ordine dei giornalisti del Lazio hanno fatto sentire la loro solidarieta’. La questione e’ aperta, al centro di una trattativa. Vedremo. Ma c’e’ da chiedersi cosa si nasconda dietro questo attacco improvviso. Quale urgenza, quali interessi, quali perche’, quali motivazioni, se non quelle di spegnere smorzare intimorire silenziare la voce delle donne.
Qualcuno dal Campidoglio ha suggerito di spostare la casa delle donne in periferia: quasi un messaggio simbolico, a negare la centralita’ della questione. Dopo un ventennio berlusconiano che retrocesso le donne, riducendo la figura femminile a meteorina, velina e olgettina, e rimandando cosi’ gli orologi indietro di decenni, anche il “nuovo che avanza” non sembra promettere bene sulla strada della parita’ di genere. Non e’ un caso, forse, che in questi giorni della formazione del nuovo governo i leader delle delegazioni che sfilano al quirinale siano tutti maschi. E che la questione donna non sia in nessun programma di governo. D’altronde nessuna delle forze politiche che si e’ presentata alle ultime elezioni ha avuto tra le priorita’ la questione della parita’ di genere. Questione tabu’. Non se ne parla. Meno se ne parla, meglio e’.
Eppure e’ questione aperta, in ogni campo, sotto gli occhi di tutte e di tutti. Eppure il caso Weinstein, al di la’ dei confini, dovrebbe dirci qualcosa. Ci sono temi che non scadono, che non vanno in prescrizione. Ci sono le ragioni di milioni di donne che bussano alle porte. E prima o poi riescono a farsi aprire.
Silvia Resta– giornalista tg la7- commissione pari oppurtunita’ ordine dei giornalisti del Lazio