Clamoroso concorso di colpa: nella vicenda della fine del tentativo di un Governo grillo-leghista, hanno sbagliato tutti. Savona, che ha chiarito tardivamente che le sue critiche al modello europeo non erano un progetto di Italexit. Di Maio e Salvini, che hanno rifiutato di sostituirlo con Giorgetti, per dare una manifestazione di forza al proprio elettorato con la sottomissione del Presidente della Repubblica al proprio volere. Mattarella, che ha invocato i mercati – con un’incostituzionale cessione di sovranità – derubricandosi da garante dell’unità del Paese, a tutore del risparmio.
Composto il mosaico delle responsabilità, quella più rilevante va attribuita alle forze politiche coinvolte, che – dietro alla rigidità manifestata – hanno lasciato intendere di volere più nuove elezioni, che un nuovo Governo. Altrimenti, avrebbero accettato la sostituzione di Savona con Giorgetti, ben più euro-critico del primo.
E ora?
Non c’è dubbio che le istituzioni ne escono scosse, perché il terremoto c’è stato. Il Governo Cottarelli difficilmente sarà votato (più probabile un Gentiloni bis), ma un nuovo gabinetto nascerà solo con l’impegno di sterilizzare l’Iva e andare subito al voto. Sul piano dei partiti, Salvini è sicuro di passare all’incasso e svuotare le altre formazioni di destra. Per il M5S invece ci sarà un calo, perché il voto anti-renziano in trasferta non appoggerà gli eccessi grillini, dopo la ridicola richiesta di porre in stato di accusa per alto tradimento del Presidente. Resta da vedere cosa farà il PD. Se la crisi istituzionale funzionasse da acceleratore del ricambio ai vertici, potremmo vedere un congresso anticipato, con l’emersione di Zingaretti. Sarebbe il segnale che il renzismo è archiviato e favorirebbe un ritorno all’identità di sinistra del partito, nonché il rientro degli elettori in diaspora e di LeU, con un ricompattamento ormai urgente, per far fronte comune ad una destra che raggiungerà livelli di guardia per la tenuta dei valori costituzionali.
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