Sono avvenute ieri le esequie del giornalista messicano Carlos Huerta Gutiérrez, della radio e tv dello Stato meridionale di Tabasco. Si è trattato di una vera e propria esecuzione, un agguato in piena regola come per gli altri tre giornalisti uccisi in Messico dall’inizio dell’anno. E pensare che l’assassinio di Huerta è avvenuto esattamente a un anno dall’omicidio di Javier Valdez che era il notissimo e coraggioso giornalista de La Jornada. Insomma, servire l’informazione in maniera scrupolosa e corretta, senza compromessi e con libertà in Messico è diventato un atto eroico, la firma preventiva di una condanna a morte. Peggio che nelle zone di guerra. O forse dobbiamo convincerci che il Messico è in guerra come continuano ad affermare gli stessi presidenti che si succedono. In guerra con il narcotraffico – dicono loro – ma anche con il clima di totale impunità e di corruzione – dicevano Carlos Huerta Gutierrez, José Gerardo Martínez, Carlos Domínguez e Javier Vázquez – che hanno continuato a denunciare.
A proposito, di nessuno di questi delitti sono stati riconosciuti esecutori e mandanti. Come nella stragrande maggioranza degli assassini in Messico. Ragione in più per essere tanto vicini alla famiglia di Huerta e alla maggioranza dei messicani che è costituita da persone oneste e, a volte, anche coraggiose.
Un abbraccio alla madre di Carlos, la più coraggiosa di tutti: nel corso dei funerali ha avuto parole di perdono per gli uccisori del figlio.