I giovani di età compresa tra i quindici e i trenta anni sono al massimo della potenza biologica, sessuale e ideativa eppure la società «se non ne fa proprio a meno, certamente non impiega opportunamente e utilmente quella generazione». E allora non si può non domandarsi quale futuro avrà, se ce l’avrà, questa società. Se lo è chiesto anche Umberto Galimberti il quale ha preferito far rispondere direttamente a loro, ai giovani che lo incarnano in toto il futuro di cui tanto si parla.
Esce in prima edizione a gennaio 2018 nella Serie Bianca di Feltrinelli Editore La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo, un saggio sul “disagio giovanile” che è in realtà una “crisi culturale”, una «condizione culturale depressiva in cui l’individuo è vittima di una diffusa mancanza di prospettive e di progetti». Ma quali ne sono le cause? E quali le responsabilità?
Dal groviglio inestricabile di opinioni, riflessioni, pareri, statistiche e ammonimenti vari che si leggono e si ascoltano su media, social, incontri, convegni e via discorrendo non si riesce a cavare un ragno dal buco e il «deserto di senso» delle discussioni non fa che lievitare al punto che Galimberti ha ritenuto doveroso ridare, o dare finalmente, la parola ai diretti interessati, ai giovani appunto. E dalle loro parole emerge un quadro dai tratti e dalle tinte molto diverso da quello che ci viene continuamente descritto.
La verità è che, per certi versi, la ‘vecchia’ società, ancorata a quelli che ritiene baluardi e principi inderogabili, sembra quasi aver paura di questa ‘massa giovane’ di nichilisti attivi che appaiono come i soli ad aver compreso che «l’amore è l’unico antidoto al valore del denaro», che non hanno timore di cambiare, stravolgere l’ordine dato, evolversi in altro, evolvere la società in altro. Così la paura arriva a essere camuffata in necessità di inquadrare questi corpi e queste giovani menti negli schemi dati e certi «dell’efficienza e della produttività», nonostante il fatto che «a differenza dei loro padri, i giovani d’oggi non hanno fatto del denaro lo scopo della loro vita».
È davvero possibile pensare che questa società abbia un futuro? Galimberti è giunto alla conclusione che uno spiraglio c’è, ma «unicamente a opera dei ‘nichilisti attivi’» i quali però, sono una minoranza e «spesso trovano solo all’estero le condizioni per potersi esprimere».
Il saggio si apre al lettore con una introduzione dello stesso autore che sembra una contraddizione, un invito a non leggere il testo allorquando Galimberti invita ad ascoltare i giovani, a parlare con loro invece di continuare a impantanarsi nelle innumerevoli considerazioni di psicologi, sociologi, insegnanti, educatori che parlano di loro. Il perché di queste affermazioni lo si comprende proseguendo la lettura che si rivelerà invece davvero utile e necessaria.
Dopo la prima breve parte introduttiva il saggio si compone quasi interamente delle lettere che i giovani hanno inviato a Galimberti per la rubrica che egli tiene settimanalmente per D di Repubblica, intervallate da chiose e cappelli dell’autore stesso. I temi trattati spaziano dalla sessualità alla crescita, dalla formazione al lavoro, dalla spiritualità ai desideri e sono affrontati tutti in maniera originale, unica. Il solo filo conduttore comune è la singolarità dei punti di vista mai falsati da luoghi comuni, pregiudizi di genere, razzismo, omofobia…
Si parla di una parte di giovani, quella che ha scelto di rivolgersi all’autore per la sua rubrica. Non si tratta quindi della totalità dei giovani bensì di un campione più o meno corposo e rappresentativo. Tuttavia in esso si ritrova più equilibro, giudizio e metodo che non in tanta informazione “matura” o in una scuola strutturata sempre più «sull’oggettività di insegnamenti e verifiche, nella quale la soggettività di ogni studente tende sempre più a venire schiacciata, compressa, arginata, limitata». Un sistema educativo che dovrebbe invece avere come obiettivi: «la formazione, il senso critico e la capacità di ricerca». Una scuola, ma si potrebbe tranquillamente parlare di una società tutta, che «si esonera dall’educazione emotiva dei giovani», concentrandosi sulla sola istruzione, ovvero sulla «semplice trasmissione di informazioni da testa a testa».
Occorrerebbero, ed è esattamente quello che i giovani chiedono a gran voce, «insegnanti motivati e carismatici» perché, inutile negarlo, il miglior metodo per apprendere qualcosa o appassionarvisi è la fascinazione, come accade sempre o quasi per ogni cosa nella vita.
Forse siamo oggi in presenza di un’alienazione ben più radicale di quella denunciata da Marx, ipotizza Galimberti, vittime tutti di una società nella quale «l’uomo non è più il soggetto del suo operare, ma il semplice esecutore di azioni descritte e prescritte dall’apparato tecnico», sempre in nome di quegli imperativi categorici che neanche si vuol più sapere con esattezza dove condurranno il mondo intero (efficienza, produttività, lavoro, guadagno, crescita, consumo…).
Un saggio fuor di dubbio interessante La parola ai giovani di Umberto Galimberti. Un libro che obbliga chi legge a interrogarsi, insieme all’autore, insieme ai giovani e per loro sul senso di tanti atteggiamenti dati troppo per scontati. Come il fatto che se la felicità consiste nella realizzazione di sé, «che senso ha una vita dove si ha l’impressione che altro non resti se non eseguire azioni descritte e prescritte dagli apparati di appartenenza»? Un libro necessario, assolutamente da leggere.