Il primo gennaio 2018 la Bulgaria ha assunto il semestre di presidenza di turno del Consiglio Ue. Per Sofia l’evento, che arriva a undici anni dall’ingresso del paese nell’Unione, rappresenta un atteso traguardo e una vetrina importante, per sentirsi un membro ormai maturo della famiglia europea. Sul clima di celebrazione, però, non mancano ombre pesanti, come quelle sugli irrisolti problemi legati a corruzione e lotta alla criminalità organizzata. A queste si affiancano le critiche sulla difficile situazione nel campo della libertà di stampa, che nel decennio “europeo” della Bulgaria ha registrato un repentino e sensibile deterioramento. Nello speciale indice annuale sulla libertà dei media pubblicato da Reporter senza Frontiere , ad esempio, la Bulgaria è collassata dalla 36sima posizione del 2006 alla 109sima del 2017 , un giudizio in sostanza condiviso da altri organizzazioni internazionali come Freedom House .
L’apertura del semestre ha visto iniziative volte ad attirare l’attenzione internazionale sui crescenti ostacoli che incontrano i giornalisti bulgari nell’informare l’opinione pubblica in modo libero. Quella che ha avuto la maggiore visibilità è stata la pubblicazione di un “libro bianco” da parte dell’Unione degli editori, che riunisce alcuni degli attori mediatici più critici verso l’attuale esecutivo. Il documento, presentato a Sofia il 10 gennaio 2018, denuncia quelli che vengono da anni percepiti come i problemi strutturali e profondi del panorama mediatico bulgaro: concentrazione dei media e delle reti di distribuzione (soprattutto nelle mani del controverso politico e tycoonDelyan Peevski), mancanza di trasparenza sulla proprietà dei media, utilizzo di fondi pubblici (compresi fondi Ue) per il finanziamento preferenziale a media favorevoli al governo. Nelle sue conclusioni, il “libro bianco” chiede un intervento molto più visibile e diretto delle istituzioni europee per il controllo, l’osservazione e la messa in atto di misure volte a contrastare la creazione di monopoli, aumentare il livello di trasparenza e garantire ai giornalisti bulgari le condizioni minime per poter fare il proprio mestiere.
Un clima difficile per il giornalismo d’inchiesta, il caso Gaytandzhieva
La maggior parte dei rapporti sullo stato della libertà di stampa in Bulgaria , redatti sia da organizzazioni internazionali che locali, segnala da anni la pervasività di pressioni politiche ed economiche sui giornalisti in Bulgaria, che nella maggior parte dei casi sfociano in forme di auto-censura. Nel corso degli ultimi anni però, i casi diretti e talvolta violenti di censura non sono mancati. Tra gli episodi che più hanno fatto discutere negli ultimi mesi c’è quello che ha coinvolto la giornalista investigativa Dilyana Gaytandhzieva, che si è a lungo occupata di Medio oriente, seguendo il conflitto in Siria per diversi media.
Nel dicembre 2016 la Gaytandzhieva, durante una serie di reportage da Aleppo, ha portato alla luce la presenza di ingenti quantitativi di armi e munizioni di produzione bulgara utilizzati dalle milizie del fronte al-Nusra, organizzazione legata ad a-Qaeda e definita come terrorista dalle Nazioni Unite. Nei mesi successivi, la giornalista è venuta in possesso di documenti riservati, che sarebbero filtrati attraverso un account Twitter anonimo, e che hanno rivelato il coinvolgimento della compagnia aerea azera “Silk Way” nel trasportare armi da vari paesi dell’Europa centro-orientale, Bulgaria inclusa, verso i teatri di guerra del Medio oriente (una triangolazione i cui principali protagonisti sarebbero paesi come gli Stati Uniti, la Turchia, l’Arabia Saudita e gli Emirati arabi uniti). Il reportage completo sulla vicenda è stato pubblicato ad inizio luglio 2017 sul quotidiano “Trud”: alcune settimane più tardi la Gaytandzhieva è stata convocata dai servizi di sicurezza di Sofia (DANS), che avrebbero diretto il loro interesse alla fonte di informazioni della giornalista. Due ore dopo il colloquio, la Gaytandzhieva ha ricevuto una chiamata dal proprio editore, in cui veniva informata di essere stata licenziata, senza ulteriori spiegazioni.
Media locali, giornalisti sotto pressione
A destare particolare preoccupazione sono spesso le pressioni e le minacce ricevute dai giornalisti di piccoli media locali, che operano in realtà isolate e poco protette.
Nel novembre 2017 Maria Dimitrova, reporter del sito “Zov News” che opera nella cittadina di Vratsa, in Bulgaria nord-occidentale, ha denunciato di aver ricevuto minacce di morte da parte di un gruppo criminale della zona, minacce che hanno coinvolto anche l’editore della testata Georgi Ezekiev. Le intimidazioni sono arrivate dopo l’intervista fatta ad un giovane della regione, la cui nonna era stata arrestata pochi giorni prima all’aeroporto di Zurigo, in Svizzera, per detenzione e spaccio di cocaina. Secondo la versione raccontata alla Dimitrova, l’anziana sarebbe stata in realtà costretta a trasformarsi in corriere internazionale di droga dopo essere stata raggirata dai membri della banda, che le avrebbero sottratto con l’inganno anche la casa di residenza. Stando alla denuncia poi presentata dalla reporter, l’organizzazione criminale godrebbe di protezione da parte di alcuni poliziotti: una situazione che a fine novembre ha spinto il presidente dell’Associazione dei Giornalisti europei, l’austriaco Otmar Lahodynsky, ad incontrare i vertici della direzione investigativa antimafia, per chiedere un intervento forte a difesa del lavoro e dell’incolumità dei giornalisti bulgari.
Che le intimidazioni vadano prese sul serio è stato dimostrato da alcuni gravi casi del recente passato. Nel gennaio 2015, a Pomorie, sulle rive del Mar Nero, il proprietario del sito “Zad Kulisite” (Dietro le quinte), noto per le indagini giornalistiche su casi di corruzione e abuso di potere nella cittadina marittima, è stato selvaggiamente picchiato in strada. Il brutale attacco è costato caro a Tonchev, che ha subito una frattura cranica con commozione cerebrale, la rottura del naso e due settimane in ospedale. Le indagini sul caso Tonchev si sono rivelate lunghe e complesse: al momento, a più di tre anni di distanza, è in corso un processo ai danni di due uomini, ritenuti essere gli assalitori dalla procura di Pomorie.
Bulgaria, fake news e alfabetizzazione
I problemi dell’informazione in Bulgaria non si limitano però solo alle minacce all’attività giornalistica, ma anche alla capacità del pubblico di discernere la qualità e veridicità dell’informazione consumata.
A riportare l’attenzione su questo aspetto, uno studio sulla “alfabetizzazione dell’informazione”, pubblicato dall’istituto Open Society di Sofia. Nella speciale classifica prodotta dallo studio, i cittadini bulgari risultano in fondo alla classifica europea (30simo posto su 35) per capacità di giudicare la qualità dell’informazione e individuare “fake news”. Per gli autori della ricerca, i motivi principali della debolezza del “sistema immunitario” contro notizie esplicitamente false e manipolatorie vanno ricercati nella bassa qualità del sistema di istruzione, così così come nella percezione dei media come non-indipendenti e nella diffusa sfiducia verso le istituzioni, vero e proprio brodo di coltura per la nascita di teorie cospirative e “verità alternative”.
*Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa