Ieri al Salone del Libro di Torino erano attesi Paola e Claudio Regeni, con la loro legale Avv. Alessandra Ballerini e Beppe Giulietti, il leader della “scorta mediatica” e presidente del Premio Roberto Morrione, che ha organizzato l’incontro sul rapporto fra giornalismo e ricerca e nello specifico la ricerca della verità per Giulio Regeni.
Un’occasione di confronto su quanto il giornalismo investigativo può fare o non deve fare in vicende drammatiche come quella di Giulio, sull’importanza dei social, dell’impegno civile di ognuno di noi, dell’empatia nei confronti di chi vive sulla proprio pelle tragedie simili che non possono e non devono appartenere solo ad una famiglia, ma devono essere sentite sulla nostra stessa carne.
Tanto c’è da dire sulla vicenda (chiamiamola vicenda, tragedia ma non chiamiamola “Caso Regeni”) soprattutto a pochi giorni dall’arrivo del pm Colaiocco al Cairo accompagnato da tecnici che vigileranno sull’estrazione delle immagini dalle videocamere delle fermate della metropolitana dove Giulio sparì il 25 gennaio 2016.
Ma come ha ricordato anche Claudio Regeni, ogni volta che tentiamo di afferrare un brandello di quella verità, inesorabilmente veniamo respinti dalla terribile macchina egiziana.
La notte scorsa, infatti, le forze di sicurezza hanno fatto irruzione nell’abitazione del direttore esecutivo dell’ECRF, Commissione per la liberta e i diritti umani che è fra i consulenti legali della Famiglia Regeni (e in stretto contatto con l’Avv.Ballerini) Mohamed Lofty, prelevando lui, sua moglie Amal Fathy e il loro bimbo di 3 anni.
Rilasciato Lofty con il bimbo (perché in possesso di doppia cittadinanza), la moglie è rimasta in custodia con accuse terribili che potrebbero portarla all’ergastolo o alla pena di morte.
La sua colpa? Una delle tante che usa il regime per liberarsi degli oppositori, punire, vessare chiunque si occupi di diritti.
Scrivere un post su facebook indignandosi per le violenze che subiscono le donne in custodia delle forze di sicurezza, diventa una colpa terribile in un Paese dittatoriale e misogino come l’Egitto.
Ma questi sono i pretesti. L’unica vera colpa di Amal è essere la moglie di un consulente legale dei Regeni. Del presidente dell’Ecrf con il quale l’avv. Alessandra Ballerini aveva appena finito di parlare nel corso di una riunione telefonica poche ore prima scambiando informazioni preziose.
L’ECRF non è la prima volta, anzi è la settima, che subisce irruzione o perquisizione e altre intimidazioni, ma la notte scorsa il regime ha alzato il tiro.
Se un avvocato dei diritti umani sceglie una via, anche mettendo a rischio la propria libertà e la propria incolumità per i suoi ideali di giustizia, il regime vigliaccamente, decide di colpirgli gli affetti più cari per provare a piegarlo e avvertire chi ancora lotta.
Si punisce Amal per colpire ancora una volta un’organizzazione che si occupa della tutela legale dei diritti umani, che si occupa del procedimento giudiziario sull’uccisione di Giulio Regeni.
Si punisce Amal perché l’implacabile Procura di Roma non si è lasciata scoraggiare e stancare dalla melina egiziana e fra pochissimi giorni gli egiziani dovranno dar conto di quelle immagini che da 27 mesi vengono chieste con insistenza.
La verità sul sequestro, le torture e l’omicidio di Giulio è evidentemente troppo vicina e troppo potente per poter essere svelata senza conseguenze.
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