Giorgio Almirante, trent’anni dopo. Tutto mi divide da lui: le scelte, la visione politica, la concezione del mondo. Eppure, a tre decenni dalla scomparsa, gli riconosco l’onestà, materiale e intellettuale, di essere stato comunque se stesso fino alla fine, alfiere di una destra dura e pura, urticante, missina, restia a qualsivoglia forma di contaminazione ma comunque capace di esprimere un’azione politica che ha influenzato eccome l’immaginario collettivo.
Era un esponente della Repubblica Sociale, un reduce di Salò, mai pentito di ciò che aveva fatto in gioventù e in grado di fornire motivazioni che ovviamente non condivido ma alle quali mi avvicino con la passione e la curiosità dello storico, desideroso di comprendere quali sentimenti avessero animato, a suo tempo, coloro che avrebbero compiuto scelte radicalmente opposte alle mie.
Era un uomo tutto d’un pezzo, Almirante: lontano anni luce dai cliché della politica contemporanea, capace di esprimere rispetto, pietà e ammirazione davanti alla salma di Enrico Berlinguer e di risultare sincero, al punto che Pajetta, un anti-fascista viscerale, era sceso ad accoglierlo a Botteghe Oscure per consentirgli di rendere omaggio al più strenuo dei suoi avversari.
Altri tempi, altro spessore umano e culturale, altra tempra. Ribadisco: tutto mi divide da Almirante, da ciò che ha detto, dai personaggi che ha candidato e dallo stile di una destra che non era certo quella liberale di un Einaudi o di un Malagodi. Tutto, eccetto l’amore per la politica, benché in quegli anni mi avrebbe indotto ad essere ben più di un suo avversario.
La verità è che anche noi di sinistra non avvertiamo tanto la mancanza di Almirante, di cui non siamo mai stati estimatori e che anzi abbiamo combattuto e continuiamo a combattere per tutto ciò che ha rappresentato e ancora rappresenta per una parte consistente di questo Paese, quanto della politica in sé, ossia di quell’attività nella quale ci si divide, si discute, talvolta si litiga pure ma lo scontro avviene sulle idee e non unicamente sul narcisismo, la presunzione e l’arroganza di questo o quel leader. Per questo siamo convinti che anche lui, proprio come noi, oggi si sentirebbe un pesce fuor d’acqua pure a casa sua e che per una volta, e qui sta l’anomalia e la tristezza di questa stagione, saremmo concordi nel tracciare un’analisi severa e senza possibilità d’appello sul degrado nel quale siamo immersi e al quale nessuno sembra più sapere come opporsi.
Era un uomo del Novecento, Almirante, ed è bene che non si cerchi strumentalmente di condurlo in un secolo che non è il suo, in un tempo che non gli appartiene, in una stagione che probabilmente avrebbe disprezzato. È giusto conoscerne la storia, comprenderne le decisioni e tenere ben presente che stiamo parlando comunque di un protagonista della vita politica italiana.
Il giudizio critico è già stato emesso. Ciò che è venuto dopo, soprattutto se si guarda alla destra contemporanea, non dico che ci abbia indotto a rimpiangere lui e Romualdi (scomparso, a sua volta, nel maggio dell’88) ma quasi.
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