Ma il cuore del convegno sono state le testimonianze di Antonella Crippa e Paolo Borrometi. Da nord a sud, dalla Provincia di Como dal lecchese, alla provincia “babba” della Sicilia, Ragusa, quella su cui ha indagato Paolo e da cui è dovuto fuggire per le minacce. Ma un unico filo rosso: le intimidazioni, il “guardati le spalle”, il tentativo di bloccare il racconto, la parola.
Antonella Crippa, redattrice del principale giornale comasco, intervistata da Andrea Riscassi, ha raccontato di come ha visto la sua vita cambiare dopo l’arrivo di una mail: ignoto il mittente, che in un secondo invio ha anche negato che si trattasse di una minaccia, ma solo di una richiesta di “precauzione”. Quella mail però ha fatto in modo che anche nella profonda Lombardia, dove lei stava scrivendo di mafie e colletti bianchi, venisse presa la decisione di affidarla ad un’auto dei carabinieri per il controllo dei suoi spostamenti.
È nota invece la storia di Paolo, ma quello che molti non sanno è che le minacce nei suoi confronti non solo non si sono mai fermate, ma hanno finito per intimidire prima gli altri ancora prima di lui: “Dovevo parlare in una scuola siciliana – ha raccontato ieri – ma all’ultimo l’incontro è stato annullato per la paura del preside che l’attentato che volevano farmi si verificasse proprio quel giorno”.
Negazionismo, riduzionismo, indifferenza sono i mali contro cui bisogna combattere, è il messaggio lanciato infine. Perché non solo occupandosi di mafia si può finire minacciati: è capitato perfino ai colleghi sportivi per i loro articoli di essere pedinati dagli ultras.
Dal convegno è emerso quindi un impegno per il futuro: formare i giornalisti a combattere e conoscere, anche nei settori apparentemente più lontani dai problemi della mafia, come l’enogastronomia.
Come spesso capita è una domanda e non una considerazione a concludere il convegno: l’interrogativo che proprio il nostro presidente, Paolo Borrometi, ha lasciato a tutti: “Siamo sicuri di volere davvero la verità?”