“Papà, cosa è accaduto”. Avevo soltanto nove anni il 23 maggio del 1992 e stavo partecipando, con i miei genitori ed alcuni amici, ad una festa di prima comunione. All’improvviso vidi i “grandi” fare un capannello, mettersi le mani ai capelli, davanti all’unica televisione presente nel locale che ospitava la cerimonia.
Mi preoccupai, doveva essere accaduto qualcosa di molto grave. Passai sotto le gambe, facendomi spazio, degli adulti e vidi quelle immagini.
Sono nitide nella mia memoria le immagini di quell’autostrada sventrata, metafora di chi voleva distruggere non solo la vita di un uomo, Giovanni Falcone, della moglie, Francesca Morvillo e degli uomini della sua scorta, Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro (oltre ai feriti gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza).
Quel giorno i corleonesi vollero sfidare lo Stato, colpendo Giovanni Falcone e con lui la speranza dei siciliani onesti. La più alta ed atroce sfida, una manciata di giorni prima del 19 luglio, ovvero l’attentato all’amico e collega di Falcone, Paolo Borsellino.
Oggi è un giorno di lutto, di sofferenza, di tragedia per il popolo italiano. Dopo 26 anni, però, quella speranza dei siciliani continua ad ardere forte e le idee dei “Giudici” continuano a camminare sulle gambe dei tanti ragazzi che, ricordandone la memoria, fanno “legalità” non strombazzata ma praticata.
“Non li avete uccisi”, urlano i ragazzi e le ragazze. E’ vero, non li avete uccisi, la loro memoria rimarrà per sempre, così come il loro impegno di Cittadini. Per i mafiosi, invece, la pena più grande sarà l’impegno comune di ognuno di noi: dimenticheremo i vostri nomi, perché la Sicilia è la Terra di Falcone, Borsellino, Chinnici, Impastato, Fava, don Pino Puglisi, Boris Giuliano, non di chi li ha uccisi.