Tre anni di ricerche, di studi, di incontri, di interviste sono stati necessari per realizzare l’audioserie “Veleno”, uno dei format giornalistici più innovativi e interessanti realizzati negli ultimi anni nel nostro paese. In questo progetto editoriale tutti gli elementi sono stati ben studiati per ottenere un racconto corale così avvincente da tenere incollati agli auricolari migliaia di ascoltatori su una storia vecchia di venti anni, ma ancora forte e ricca di colpi di scena. Si tratta della storia di 16 bambini della bassa modenese tolti ai loro genitori perché accusati di satanismo e pedofilia. Un caso di cui non si parlò abbastanza all’epoca, ma che oggi, proprio grazie a Veleno, è stato conosciuto dal grande pubblico. Merito di questa serie è anche quello di aver scandagliato le indagini compiute all’epoca, facendo sorgere più di un dubbio su come furono condotte e su come si comportarono le autorità che si occuparono della vicenda.
Veleno è stato pubblicato ad ottobre scorso da Repubblica.it e realizzato da un team di cinque professionisti: Pablo Trincia (già nostro tutor nella sesta edizione), Alessia Rafanelli, Gipo Gurrado, Marco Boarino e Debora Campanella.
Per capire meglio questo progetto abbiamo intervistato proprio Pablo Trincia.
Quando è nata l’idea di Veleno?
Tre anni fa, nel dicembre 2014, dopo aver ascoltato Serial, la serie americana che ha aperto al genere del podcast seriale. Sono stato folgorato ascoltando le 11 puntate da un’ora della prima serie che ricostruivano un omicidio, anche criticando le indagini fatte. Così ho deciso che volevo portare questo genere in Italia. Ho iniziato a cercare una storia, partendo banalmente da una ricerca su google di storie collegate al satanismo, ai rituali ed è capitata questa storia dalla quale sono stato letteralmente risucchiato.
Che ruolo ha avuto La Repubblica in questo progetto?
Abbiamo girato tante radio, tv, case editrici che ci hanno detto di no perché avevano paura della storia, oppure non l’avevano capita o la consideravano poco efficace salvo poi rifarsi vivi tempo dopo l’uscita. La Repubblica è stata subito molto ricettiva. E anche questa accoppiata è stata innovativa: abbiamo raccontato la storia in modo originale sulle pagine di un giornale e non con una radio.
Come si è costruito questo team di lavoro?
Piano piano nel corso del tempo si è costruito un gruppo: dopo un anno è subentrata Alessia, poi sono arrivati Gibo, Marco e Debora. E alla fine eravamo in cinque anche perché c’è una grande mole di lavoro da svolgere, di revisioni e c’è bisogno di occhi e orecchie esterne che ascoltano, discutono, criticano, aiutano a costruire la storia al meglio possibile.
Sei abituato a lavorare in team?
Tendenzialmente lavora sempre in squadra. Anche alle Iene mi confronto con chi mi sta intorno, che sia l’autore, l’operatore, il montatore. Il mio é sempre un lavoro corale, dove ovviamente sono io poi a prendere la decisione finale che, però, è frutto di una riflessione collettiva, di uno scambio di opinioni. E’ il mio modo di lavorare. Quando faccio le interviste, chiedo sempre all’operatore che è con me “tu che domanda faresti?” perché anche se non è il suo lavoro magari ha una domanda in canna che io non ho fatto o che ho sottovalutato e in genere ti dicono sempre delle cose a cui tu non hai pensato. Con Veleno quindi è venuto naturale creare un gruppo di supporto. Da solo non ce l’avrei mai fatta: è un’impresa titanica. Serve molta spinta, organizzazione, motivazione.
E la scelta del vocal coach?
Mi è servito per migliorare la lettura che nel podcast è tutto. Per quanto lo sapessi fare, in Veleno, non essendoci il video, era una parte dominante che andava curata in modo particolare. La voce è tutto quindi devi essere perfetto nei tempi, nel ritmo, nel modo in cui pronunci le parole, nello scandire determinate parole. Però ovviamente eravamo d’accordo che non avremmo dovuto pulire troppo la mia voce. Non doveva essere una voce neutra. Non dovevo perdere in naturalezza. Doveva essere un racconto vivo, non doveva essere la voce di un attore. L’obiettivo era una voce pulita, mettendo la tensione giusta nei momenti giusti.
Come è stato affrontare la storia dei sedici bambini e delle loro famiglie?
Ci sono stati dei passaggi molto forti. E’ stato difficile. Eravamo di fronte ad un continuo dilemma morale. Parlarne, cosa dire, cosa non dire, lasciare le voci fuori, tenerle. Era e é un argomento radioattivo, basta sbagliare una parola e crolla tutto. Il rischio di commettere un errore è stato sempre dietro l’angolo. Anche per questo ogni puntata è il risultato di almeno 4 o 5 revisioni.
Come hai reagito alle parole del procuratore capo di Modena Lucia Musti che, in merito all’eco avuto da Veleno, ha dichiarato “Ci sono state sentenze passate in giudicato e non è opportuno dopo tanti anni andare di nuovo a rimestare una situazione che comunque genera dolore in primo luogo per coloro che hanno lavorato a questi gravissimi reati.” ?
Da un lato non mi stupisco, dall’altro mi viene l’amarezza. Abbiamo portano del nuovo materiale utile all’inchiesta, le dichiarazioni di un ragazzo che è stato centrale in un processo che ha anche condannato delle persone – ricordiamo che 9 bambini sono figli di persone assolte e 7 sono figli di persone condannate. Quel bimbo, ora adulto, ci ha raccontato che subiva delle pressioni durante gli incontri e noi siamo riusciti a dimostrarlo grazie al video dell’epoca che abbiamo recuperato. Abbiamo quindi pensato che un’inchiesta sarebbe stata riaperta e invece ci siamo sentiti dire che non sarebbe stato opportuno rimestare. Come se il compito della magistratura fosse quello di occuparsi di problemi psico-morale, mentre è suo compito quello di indagare quando ci sono delle evidenze nuove. Il problema ovviamente è che lo ha dichiarato Lucia Musti, procuratore capo di Modena, dove tutti i processi del caso hanno avuto come esito la condanna.
Che evoluzioni avrà il vostro lavoro di inchiesta?
Stiamo vedendo cosa succede, stiamo raccogliendo nuove interviste. Ovviamente se ne stanno occupando le tv, i giornali, le radio. Il problema è che nessuno va a chiedere conto a chi ha già risposto nel podcast. Come al capo degli assistenti sociali Marcello Burgoni che ha dichiarato delle cose che non sono avvenute (per esempio che i bambini venivano allontanati solo dopo che avevano parlato, mentre abbiamo dimostrato che avveniva il contrario) o alla dott. ssa Gloria Soavi del Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia (CISMAI) che all’epoca aveva un ruolo centrale essendo le psicologhe incaricate del caso tutte affiliate a questa associazione, che si è lasciata sfuggire il commento sul fatto che furono compiuti errori gravi e ci ha chiesto di non utilizzare la registrazione dell’intervista, perché l’avremmo messa molto in difficoltà con delle persone che conosceva personalmente”. Il problema è che nessuno della stampa interpella loro, vanno tutti a cercare le vittime.
E si è fatta viva la tentazione di prendere la telecamera?
E’ piu di una tentazione. E’ un’intenzione.
C’è un futuro per questo tipo di progetti audio nel nostro Paese?
Assolutamente si. In America il podcast seriale è una tendenza con serie che fanno decine di decine di milioni di download. Sono numeri che non esistono da noi perché non abbiamo il mercato di lingua inglese ma in proporzione possiamo fare degli ottimi numeri. Noi stimiamo che Veleno abbia raggiunto con le sette puntate circa un milione di persone. I dati di iTunes sono vaghi anche se abbiamo la valutazione di 500 persone sulla pagina dedicata al progetto, ma i dati sullo streaming di Repubblica indicano un pubblico di circa 270mila persone. Poi ci sono da considerare gli altri mezzi, app, con cui si può ascoltare.
Che ruolo hanno avuto i social media?
Veleno ha girato soprattutto attraverso i social. E’ stato al terzo posto dei trending topic lo scorso 3 dicembre quando è uscita la settima e ultima puntata. Negli ultimi mesi si è registrato un picco nuovo di persone che lo stanno ascoltando.
Hai dei consigli per chi volesse approcciare all’inchiesta radiofonica seriale?
Il mio primo suggerimento è di imparare dalle serie americane perché hanno uno stile narrativo molto bello, serio, efficace. Cosi si trova ispirazione. Quindi ascoltate SERIAL. E poi invito a fare inchieste così perché è un genere di racconto più facile rispetto al video dove si ha il problema delle immagini.
Un messaggio particolare per gli under 31?
Con sette puntate di una durata media di 37 minuti ciascuno VELENO ha dimostrato che se la narrazione è efficace, ben scritta, con un buon ritmo, le persone lo ascoltano. Abbiamo aperto una nuova frontiera che però ha bisogno di pioneri che vadano alla conquista. UNDER31, buttatevi ed espandete il mercato.