BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Tutto in un punto. “Cita a ciegas”, regia di Andrée Ruth Shammah, alla Pergola di Firenze

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Un tango ballato fra la solitudine e l’amore, fra il tempo e la stasi, fra l’innocenza e la carnalità, fra la realtà e la fantasia. Questo è quello che troviamo gustando il meraviglioso Cita a ciegas (appuntamento al buio) portatoci da Andrée Ruth Shammah che adatta  e dirige il testo di Mario Diament. Come nell’eterno ballo degli elettroni attorno al nucleo dell’atomo, che si muovono, sfuggono, scompaiono e riappaiono formando configurazioni assolutamente imprevedibili e al contempo certe e puntuali, così i nostri personaggi all’apparenza così distanti vengono catturati da un’attrazione magnetica che porterà le loro vite a intrecciarsi, formando così il tessuto della realtà in cui si trovano a vivere.

Non a caso lo Scrittore cieco (Gioele Dix), essendo un simulacro di Borges, riesce a vedere con gli occhi della fantasia e con questi ricostruisce il mondo attorno a lui, passando al setaccio i possibili futuri scaturiti dalle scelte della vita. Immerso in un bianco accecante, che si spalma sul suo vestito, sulla panchina che lo ospita, e sul muro alle sue spalle, lo scrittore cieco fa la conoscenza con un Uomo (Elia Shilton), un piccolo signore distinto e dalla voce esile, al quale esporrà la sua teoria cosmologica – che in certi tratti richiama la teoria dell’integrale sui cammini, portata avanti fra gli altri dal recentemente scomparso Stephen Hawking – enunciando che questo universo non è che uno dei possibili universi, e che esiste un universo per ognuna delle scelte che compiamo in cui compiamo la scelta opposta. L’uomo sedutosi vicino al cieco inizia a raccontare di se stesso e la sua immagine di uomo rispettabile si distorce quando rivela di aver perso la testa per una giovane scultrice e di aver sviluppato verso di essa un’attrazione morbosa, un amore inevitabile, come inevitabile pare essere il destino che accompagna i personaggi.

Se il ritmo del primo atto è prevalentemente placido e pacato, nonostante i guizzi di sarcasmo dello Scrittore e il trasporto dell’uomo mentre parla della ragazza, il secondo si apre con una ventata di energia e giovinezza portataci dalla Ragazza (Roberta Lanave) che sembra non voler seguire altro se non il desiderio di ribellione e di opposizione alla madre, seguendo la propria vocazione per l’arte e il proprio amore per un pittore condannato da una malattia senza via di scampo. Con il suo ritmo incalzante e a tratti provocatorio, costringe lo Scrittore a seguirla nella conversazione e stavolta è quest’ultimo a porre domande perché incuriosito dalla ragazza che rivela particolari intrecciati con la storia del precedente personaggio.  La vicenda comincia ad assumere tre dimensioni, rispetto alle due che hanno dominato la prima parte: i personaggi, che prima si muovevano quasi rimanendo sempre in linea con la panchina, unico arredo scenico, ecco che mentre l’intreccio si dirama prendono a conquistare nuove posizioni nello spazio.

Ma è con il terzo atto che la tridimensionalità esplode con il variare dello sfondo. Il muro bianco si apre a metà per formare un altrettanto candido studio della Psicologa (Sara Bertelà), la quale sta svolgendo una seduta con una Donna (Laura Marinoni).  Qui l’attrazione magnetica del fato porta le vicende a comporsi in modo talmente improbabile da inverare la legge di Murphy (se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo). La Donna, intelligente, arguta, forte, rivela di essere ingabbiata in una prigione che si è costruita attorno da sola con il passare del tempo e attraverso le scelte compiute. La psicologa, cercando all’inizio di mantenersi fredda e distaccata, ci condurrà al fulcro della vicenda ovvero all’incontro con l’Uomo d’affari, suo marito. Un dialogo che devasta e che colpisce nel profondo l’animo di chi assiste allo scontro fra due forze primordiali: l’istinto di difendere ciò che ci siamo costruiti attorno con le nostre scelte e la voglia di frantumarlo e stravolgerlo anche negli assiomi più essenziali. Sara Bertelà guiderà il suo personaggio da uno stato di calma mesmerica alla furia disperata di chi non vuole perdere ciò che già non c’è più con una bravura eccezionale. L’uomo sceglierà di fuggire dal sentiero percorso fino a quel momento marciando inesorabilmente verso il fato incombente, in una chiusura di scena da brividi: l’impeto folle di chi fugge lasciandosi tutto alle spalle e marcia verso la rovina è tale da infrangere la quarta parete con prepotenza e portare scompiglio e timore anche nelle file della platea, attraversate da questa figura che perde il suo stato di personaggio patetico diventando un funesto angelo della rovina.

La rottura improvvisa fa breccia nello spazio tempo della vicenda e ci proietta in avanti, dove assistiamo, in una scena tornata alla purezza iniziale della scenografia, all’incontro fra lo scrittore cieco e la Donna. Entrambi non indossano più gli abiti candidi delle scene precedenti, anticipando la sorte terribile di cui saremo messi a conoscenza. Negli atomi però per ogni particella carica negativamente ve n’è una positiva, e ora tutte le realtà convergono per arrivare a questo momento, tutti i possibili destini e le infinità di scelte sono inesorabilmente condotte a questo momento, perché l’amore non vissuto torna sempre a chiedere la sua parte.

Una scenografia semplice per dare spazio alle parole che riempiono perfettamente il vuoto spaziale riempiendolo di significato e contenuto. Un vuoto che permette di immaginarsi tutto il resto senza sforzo proprio come fa lo scrittore cieco. La regia di Andrée Ruth Shammah fa di ogni posa degli attori una fotografia indimenticabile, un attimo carico di importanza ad ogni battito di ciglia. Gli attori duettano perfettamente incantando occhi e orecchie e costringendo chi guarda a seguirli in ogni movimento, in ogni battuta.

Dopo aver assistito a quest’opera, lo spettatore non può che indossare un paio di scarpe da ballo e invitare il proprio destino in un tango appassionato verso il futuro.

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CITA A CIEGAS (Appuntamento al buio)
di Mario Diament

traduzione, adattamento e regia Andrée Ruth Shammah
traduzione dallo spagnolo Maddalena Cazzaniga

con Gioele Dix – Laura Marinoni, Elia Schilton – Sara Bertelà, Roberta Lanave

scene Gian Maurizio Fercioni
costumi Nicoletta Ceccolini
luci Camilla Piccioni
musiche Michele Tadini

produzione Teatro Franco Parenti
in coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana


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