È un’onda giudiziaria che non risparmia nessuno quella che in Turchia continua a travolgere operatori dell’informazione che null’altra colpa hanno se non quella di opporsi al bavaglio turco imposto dal presidente Recep Tayyip Erdogan e fare il proprio mestiere a schiena dritta.
Ieri un Tribunale di Istanbul ha emesso un ordine di arresto per altri quattro giornalisti del quotidiano di sinistra liberale e filocurdo Özgürlükçü Demokras, dopo i cinque della scorsa settimana. Le manette sono scattate per Mustafa Armağan, İsmail Avcı, Bünyamin Aldı e Abdullah Dirican.
La polizia dopo aver perquisito la redazione e portato via copie del quotidiano e materiale vario dei redattori nel precedente blitz, aveva arrestato anche İhsan Yaşar, proprietario della testata.
Il Procuratore titolare dell’inchiesta ne ha anche disposto il sequestro e ha nominato un fiduciario.
Una vicenda che ricorda quanto avvenuto due anni fa per i colleghi di Zaman, prima passato sotto l’amministrazione controllata voluta da Erdogan e poi definitamente chiuso alcuni mesi dopo.
I quattro nuovi arrestati e Mehmet Ali Çelebi, Reyhan Hacıoğlu, Hicran Ürün e Pınar Presunta Tarlak sono stati prelevati dalla polizia e portati in carcere con l’accusa di far parte di un’organizzazione terroristica, lo stesso capo di imputazione scattato per il giornalista Ferhat Parlak, proprietario del giornale Silvan Mücadele, e la giornalista curda Naif Yaşar, arrestati nella provincia di Var dall’unità antiterrorismo del dipartimento di polizia provinciale.
E mentre proseguono le retate, i processi in corso cominciano ad arrivare a sentenza.
Ieri la 13a Corte penale di Istanbul ha emesso un verdetto di condanna a due anni per il caporedattore del quotidiano curdo Demokratik Ulus. Nuray Candan e gli editori Kemal Sancılı e Ziya Çiçekçi per propaganda del terrorismo per aver titolato a favore di un’iniziativa politica del Partito democratico curdo.
Emblematico anche il caso di Ahmet Keskin, un avvocato per i diritti umani e editorialista per il giornale filo-curdo Özgür Gündem, chiuso sulla base del decreto governativo promulgato per lo stato di emergenza.
Una corte locale del distretto di Istanbul lo ha condannato Keskin a sei mesi di prigione per “aver apertamente insultato le istituzioni della Repubblica di Turchia” avendo parlato di una ‘deriva vergognosa’ delle violazioni da parte del governo durante un’arringa in Tribunale.
Ancora più gravi e paradossali le accuse rivolte a Esra Baysal, collaboratrice del portale T24, incriminata dall’ufficio del procuratore capo di Diyarbakır di “incitamento all’odio” per aver scritto in un dei suoi tweet “I fascisti razzisti propagandano la guerra! Io sono contro la guerra, io sono curda, io sono una zingara, io sono un’ebrea, io sono un’araba, sono LGBT, io sono armena, sono yazida… Insomma, io sono tutto quello che odi. Non seguirmi!”.
Rischia un anno di carcere.
La Turchia, dunque, si conferma il più grande carcere per giornalisti del mondo. I dati più recenti della piattaforma di giornalismo P24 e dell’International press institute parlano di almeno 158 giornalisti detenuti, sia in attesa di giudizio che già condannati, 26 erano già in detenzione prima del tentativo di colpo di stato.
Ma il numero delle detenzioni di giornalisti registrato dal 15 luglio del 2016 a oggi è stato anche più alto: 182. Migliaia di altri operatori dell’informazione sono rimasti disoccupati dopo la chiusura di oltre 170 testate.
Il giorno finora più nero per la libertà di stampa e la giustizia in Turchia è stato il 16 febbraio.
Nello stesso momento in cui si festeggiava il rilascio di Deniz Yűcel, il corrispondente da Istanbul del quotidiano tedesco “Die Welt”, che ha trascorso la maggior parte dei 367 giorni di carcere in isolamento, la Corte del 26° Tribunale penale di Istanbul condannava all’ergastolo senza possibilità di rilascio anticipato, sei giornalisti tra i quali Nazlı Ilıcak e i fratelli Ahmet e Mehmet Altan.
E presto potrebbero essere emesse altre condanne altrettanto dure. Il 24 aprile riprenderà il processo a redattori e collaboratori di Cumhuryiet, storico quotidiano di opposizione che vede alla sbarra 18 dei suoi dipendenti.
Articolo 21 sarà presente al dibattimento fino alla sentenza finale prevista per il 27 aprile come osservatore e, soprattutto, come segno di solidarietà ai colleghi che rischiano pene fino a 43 anni di carcere.