Toc, toc, c’è qualcuno? Non sono pochi quelli che, all’indomani del disastro elettorale, sono andati a bussare alla porta di qualche sede per iscriversi al Pd. Per lo più anziani, perplessi, affezionati e generosi, che pensano così di dare un piccolo contributo a un centro sinistra, riformista, largo ed inclusivo, a rischio estinzione. Spesso, però, quella porta è rimasta chiusa, oppure chi ha aperto ha consegnato la tessera come se fosse una pizza da asporto e non una scelta importante e faticosa.
I dirigenti sconfitti del Pd per il momento si sono rifugiati nel cantuccio dell’opposizione, forse in attesa del tanto peggio tanto meglio. Certo, l’abbandono delle periferie, la rottura dei legami -già logori- con le organizzazioni del lavoro, dai sindacati alle cooperative, il mostrarsi e forse essere “casta”, l’apparire come il partito dei banchieri, la logica corta di twitter invece di quella lunga e calorosa della chiacchierata in osteria o in sezione, sono tutte ragioni che possono spiegare, almeno in parte, un disastro annunciato per la sinistra. Gli elettori hanno mandato il Pd all’opposizione (18%), che può essere salutare se vissuta con umiltà, profondità di analisi e impegno, ma sarà difficile ricostruire la fiducia tradita e ricominciare ad ascoltare –soprattutto i giovani- e progettare un nuovo futuro senza un’idea forte che abbatta le feroci diseguaglianze del nostro presente. Intanto il Pd è ostaggio del suo ex segretario, che ha costruito i gruppi parlamentari a sua immagine e somiglianza, ed è maltrattato dai “vincitori”, che si stanno spartendo allegramente le poltrone istituzionali e già litigano per quella di “premier”. In realtà né il M5S (32%) né la Lega di Salvini (17%), né l’intero centrodestra (37%) hanno vinto davvero, perché per governare bisogna avere almeno il 51% di voti in Parlamento.
Il Pd, nonostante i suoi errori, è stato punito oltre misura e ora –dopo essere stato accusato di tutte le nefandezze possibili- viene trattato come una specie di maggiordomo che deve porgere i suoi voti ai nuovi “signori” della politica italiana, che non si degnano di chiedere “per favore” o dire “grazie”. Per il momento gli italiani, non solo quel 70% che ha votato M5S e centrodestra, sono in trepida attesa del nuovo che verrà, tra curiosità, speranza e preoccupazione: riusciranno i nostri eroi a darci soldi, lavoro, protezione, poche tasse e a “liberarci” dai migranti? Basterà qualche giro in tram divulgato sui social e un colpetto ai privilegi della casta per aumentare i consensi? Il più bravo di tutti, comunque, è stato Matteo Salvini, che è passato dalle ruspe contro gli zingari, dalle felpe “Basta €uro”, dal mezzo milione di migranti da cacciare, a una felpata mediazione per dialogare con il suo gemello Di Maio e tenere buono il vecchio Berlusconi. Ma anche Di Maio, a suo modo, è stato bravo. È riuscito a far eleggere Maria Elisabetta Alberti Casellati, vestale iper berlusconiana, ancora convinta che Ruby sia la nipote di Mubarak, alla seconda carica dello stato, e senatori “grillini”, in versione bolscevica, o forse ignari oppure un po’ distratti, hanno obbedito senza discutere.
Salvini e Di Maio hanno aperto una nuova stagione della comunicazione politica improntata a Robert Louis Stevenson e allo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde. In campagna elettorale sono stati mister Hyde (quello cattivo). Hanno alimentato la paura, sono stati spregiudicati ed aggressivi, hanno promesso mari e monti. Adesso si sono trasformati in più educati dottor Jekyll (quello buono). Il reddito di cittadinanza universale forse rassomiglierà al reddito di inclusione, già avviato dal governo Gentiloni, ma sempre meglio che niente. La flat tax al 15%, che avvantaggia solo i ricchi, ma fa tutti contenti, forse si limiterà a una sforbiciata alle tasse, un po’ di più e meglio di quanto abbiano già fatto i governi condannati dagli elettori. E così, prima o dopo avremo un nuovo governo e finalmente sapremo se sulla poltrona di premier ci sarà il dottor Jekyll o il signor Hyde.
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