Ho conosciuto vecchi a Kabul che di guerre ne ricordano sei. In realtà non c’è mai stata pace, da un secolo a questa parte. E quando andavamo in giro per la capitale afghana a scoprire quell’ammasso di rovine, quelle macerie infinite, era difficile capire l’origine delle ferite. Le bombe dei russi si confondevano con quelle talebane e poi ancora con quelle americane. Dall’ultima guerra, ancora in corso, ci sono stati migliaia di morti, difficile contarli. Diciassette anni di guerra. Sappiamo solo che dal 2001 sono morti 54 giornalisti. Gli ultimi nove uccisi da un verme che si era intrufolato proprio tra i cronisti che cercavano notizie su una motobomba davanti alla sede dei servizi segreti. E invece era lui imbottito di esplosivo e ha fatto una strage di testimoni, trenta morti in tutto tra cui appunto nove reporter, tutti giovani, in gran parte delle stazioni televisive. Ma anche uno dei simboli della carneficina senza fine, Shah Marai, corrispondente della France Press. Nel suo blog un testamento: “Non vedo via d’uscita”. Purtroppo è dolorosamente vero. Pensare che qualche ora dopo, a Kandahar, in un attacco verso un convoglio Nato, sono morti undici bambini, tutti studenti di una scuola coranica. No, non c’è via d’uscita.