La cittadinanza è una cosa importante, ecco perché legislatori e politici, ma soprattutto gli elettori dovrebbero aprire gli occhi su un’ingiustizia sociale che potrebbe avere delle ricadute sistemiche su di un intero paese, il nostro, se non si affrontata nel modo più obiettivo e profondo possibile la questione di chi ha il diritto di essere italiano. Quando Nelson Munanga, un bambino italiano (nato e vissuto sempre in Italia) senza cittadinanza, viene considerato extracomunitario solo perché suo padre è congolese, anche se il piccolo parla italiano e dialetto calabrese, la stessa legge (che non è infallibile) presenta una contraddizione: non riconoscere la cittadinanza a Nelson per le sue origini, anche se il bambino è italiano di fatto, avendo uno stretto legame con la cultura, la lingua e le usanze italiane; mentre riconoscerà Nelson come italiano solo quando sarà grande, con il compimento dei 18 anni, e dopo una lunga odissea burocratica che può durare diversi anni dopo la maggiore età.
Esiste, anche, una reale discriminazione nella legge. Ce l’ha detto anche l’UNICEF, quando ha affermato che la mancata riforma “è una pagina incivile per l’Italia”. E ce lo conferma, allo stesso tempo, l’attuale legge sulla cittadinanza (legge 5 febbraio 1992, n. 91), nella fattispecie la norma sulla cittadinanza per discendenza o diritto di sangue. Nella normativa si riconosce la cittadinanza italiana a cittadini stranieri di ceppo italiano (Circolare del Ministero dell’Interno n. K2.8.1 dell’8.4.1991). L’elemento discriminatorio che introduce la legge di cittadinanza per discendenza è quello di riconoscere gli stranieri che vivono all’estero come se fossero italiani solo per il vincolo di sangue, ma senza sottoporli a nessun esame della conoscenza della lingua italiana, degli usi e costumi del bel paese, dei valori fondanti alla base della nostra costituzione. Lo stesso quadro normativo non si comporta lo stesso con quegli stranieri che vivono in Italia e sono di fatto italiani. La discriminazione esiste nel momento che Nelson non può essere considerato ufficialmente italiano perché suo padre è congolese. Insomma se non si vuole dare la cittadinanza al bambino e alunno Nelson, che è a tutti gli effetti italiano (sia linguisticamente, culturalmente e per quanto riguarda i suoi usi e costumi), perché si può darla agli stranieri che vivono all’estero e che hanno un trisnonno di origini italiane, ma che non hanno legame alcuno con l’Italia? Cittadini italiani che in molti casi parlano l’italiano come io parlo l’inuit, non conoscono la nostra cultura, la situazione politica e dell’Italia riconoscono solo la pizza, la Juventus e Berlusconi.
Nello sterile dibattito politico attuale la questione della cittadinanza per diritto di suolo (IUS SOLI) e per diritto di cultura (IUS CULTURAE) è definitivamente passata nel dimenticatoio. Oggi non è politicamente corretto parlare di diritto di cittadinanza in Italia, causa la perdita di voti e di fiducia di un elettorato sempre più radicalizzato e miope. Si, perché la colpa è stata del PD, che a dicembre dell’anno passato ha fatto una colossale figura davanti agli italiani che appoggiavano la riforma della cittadinanza, quando i senatori si sono ricordati all’ultimo minuto di dibattere il ddl all’ordine del giorno, accorgendosi che mancava il numero legale. Grande giubilo della destra, mentre la sinistra renziana si contorceva in un mea culpa alquanto sospetto.
Dai dati che fornisce l’AIRE (Anagrafe Italiani residenti all’estero) nel mondo ci sono più di 4 milioni di connazionali che vivono fuori dai confini. Di questi residenti all’estero, la maggior parte si trova in Europa (2.684.325) e in America Latina (1.614.274) secondo i dati forniti dal Rapporto Italiani nel Mondo del 2017. Però gli italiani residenti all’estero per solo espatrio nel 2017 sono stati solo 124.000. All’estero, soprattutto in America Latina data la forte immigrazione italiana, ci sono persone che hanno più diritto di Nelson di essere cittadini, con la differenza che lui rappresenta 800.000 bambini e bambine che sono italianissimi, meno che per la legge.