Nel momento in cui mandiamo in stampa questo comunicato, almeno 16 sono i palestinesi uccisi a Gaza, e migliaia i feriti, alcuni gravemente, come ha dichiarato il Ministro della sanità palestinese, che ha lanciato un appello alla popolazione per donazioni di sangue. La situazione è tanto più grave in quanto gli ospedali di Gaza sono allo stremo per mancanza di presidi sanitari e medicochirurgici, farmaci, energia e rifornimenti idrici a causa del blocco di Israele che dura da 11 anni.
Ieri era il 42 esimo anniversario della “Giornata della Terra”, che commemora i palestinesi uccisi dalla polizia israeliana in Galilea, mentre protestavano contro la confisca della propria terra. In questa occasione diverse organizzazioni politiche palestinesi hanno promosso la “Marcia del ritorno”, iniziativa che si dovrebbe concludere il 15 maggio in occasione dell’anniversario della Nakba, la “catastrofe” allorché oltre 800.000 palestinesi 70 anni fa, nel 1948, furono espulsi dalle loro o trucidati.
Da giovedì 29 marzo decine di migliaia di palestinesi si sono accampati a 700 metri dal confine, e ieri si sono messi in marcia verso la fascia, che per una larghezza di 300 metri dal muro che separa Gaza da Israele, non può essere calpestata da palestinesi, nemmeno per coltivare le proprie terre, senza correre il rischio di essere colpiti da armi da fuoco. E infatti, ieri mattina il primo palestinese ad essere ucciso è stato un coltivatore di Gaza. Questa zona è stata dichiarata “area militare chiusa”, e qui si sono schierate le forze israeliane con oltre 100 tiratori scelti, squadre speciali e carrarmati, dichiarando che chiunque avesse osato penetrare nell’area sarebbe stato colpito con munizioni vive.
E questo è successo: non appena migliaia di palestinesi, tra cui moltissime donne, in numero crescente hanno iniziato a manifestare e camminare pacificamente, sono stati accolti da una pioggia di gas lacrimogeni, pallottole di acciaio ricoperte di gomma e munizioni vere. Non vi sono stati “scontri” e azioni violente da parte dei palestinesi, come riferiscono i media nostrani che si basano esclusivamente sui comunicatidell’esercito israeliano.
E’ stata l’intera popolazione della Striscia ad andare e venire verso i confini. Da nord a sud della striscia sono arrivati sin dalle prime ore del giorno donne, uomini, bambini, anziani, disabili, a piedi, in moto, in macchina, con il ciuco o il cavallo. Con la sola bandiera palestinese
Per gridare al mondo che hanno voglia di vivere e di andare sulla loro terra anche oltre il confine, che non vogliono e non possono continuare a stare chiusi in una prigione a cielo aperto. Volti sorridenti, fiori in mano anche se spari e gas cadevano su di loro ferendo e uccidendo. Nessuna battaglia campale come purtroppo i nostri media stanno descrivendo, nessun provocatore ma una grande forza popolare per la libertà.
La Comunità internazionale non può continuare a voltarsi dall’altra parte. Vi è una sola risposta che deve essere data perché cessi lo strazio odierno e di ben 11 anni di embargo: che Israele tolga il blocco totale che lentamente sta uccidendo la popolazione di Gaza e che l’ONU intervenga immediatamente per proteggere la popolazione civile.
La Rete Romana di solidarietà con il Popolo Palestinese