Nino Benvenuti, che oggi compie ottant’anni, anche se nessuno, a cominciare da lui, se ne accorgerà, per chiunque ami lo sport, non solo il pugilato, era e rimarrà sempre l’eroe del Madison Square Garden. New York, 17 aprile 1967, oltre mezzo secolo fa. Benvenuti batte l’americano Griffith e conquista la corona dei pesi welter, mentre la voce calda e avvolgente di Paolo Valenti racconta alla radio l’incontro con una precisione quasi chirurgica, portando cronisti e semplici appassionati ai bordi del ring e facendo vivere, con il suo ritmo tamburellante, una sfida dal sapore antico, con il povero Griffith costretto a combattere per tutta la vita non solo contro avversari di grandissimo valore ma anche contro la propria omosessualità che, se fosse stata scoperta, all’epoca, gli avrebbe senz’altro rovinato la carriera.
Nino Benvenuti, istriano, alto, biondo, prestante, amato dal pubblico e dalla critica e difeso da quest’ultima fin quasi all’eccesso, soprattutto nei confronti dall’eterno rivale Mazzinghi, protagonista a sua volta di leggendarie imprese e provvisto di un talento non inferiore rispetto a quello del rivale.
Benvenuti, nato non lontano da Carnera, in una terra in cui gli uomini sono di quercia. Una materia viva, un campione che andrebbe benissimo anche adesso, dotato di una tecnica e di una resistenza fuori dal comune, con idee non convenzionali e una visione del mondo non incasellabile nel politicamente corretto che, purtroppo, da qualche tempo, regna sovrano al pari dell’ipocrisia.
Di Benvenuti conserviamo le vittorie e il coraggio, le avventure e il fatto che sia stato, senza dubbio, un protagonista degli ultimi sessant’anni della nostra storia, a cominciare da quella stagione felice e forse irripetibile che, a cavallo fra i Cinquanta e i Sessanta, ci fece sentire orgogliosi di essere italiani.
Poi tutto è finito, le luci si sono spente, i ring si sono trasformati in arene e, morto anche il mito di Alì, divorato dal Parkinson e dal progressivo ingiallirsi di una gloria ormai remota, lo stesso pugilato ha smarrito il proprio fascino, la propria grandezza leggendaria, la propria epica e la propria meraviglia, trasformandosi in uno sport come un altro, spesso anche in un qualcosa di brutto, di corrotto, di mafioso, di insostenibile dal punto di vista etico, un po’ come avveniva nell’America della Grande Depressione e dei fuoriclasse del guantone strappati alle patrie galere e ben predisposti a tornarvi a causa della propria ingestibilità ed instabilità caratteriale.
Nino Benvenuti non è stato nulla di tutto ciò. È stato, al contrario, uno degli ultimi romantici, uno degli ultimi atleti che non hanno mai preteso di essere dei miti ma lo sono diventati comunque, uno degli ultimi grandi che non avevano bisogno di darsi arie per veder riconosciuto il proprio straordinario talento.
Nino Benvenuti: buon compleanno e grazie. L’avventura continua e già questo non è poco.