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Minaccia a corpo politico dello stato. Numerose le condanne. La trattativa c’è stata

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Ci fu una trattativa tra lo Stato Italiano e la mafia. E’ accaduto. Ora lo dice la sentenza della Corte d’Assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto, che dopo cinque anni di processo e 220 udienze, ha condannato Leoluca Bagarella a 28 anni, Antonino Cinà a 12 anni, gli ex alti ufficiali del ROS Giuseppe De Donno, a 8 anni, Mario Mori, a 12 anni, e Antonio Subranni, a 12 anni, nonché  l’ex senatore Forza Italia Marcello Dell’Utri, a 12 anni, e l’imprenditore Massimo Ciancimino, a 8 anni.

L’accusa è di minaccia a corpo politico dello stato.

E’ stato invece assolto dall’imputazione di falsa testimonianza l’ex ministro Nicola Mancino, perché il fatto non sussiste, mentre è intervenuta la prescrizione per il pentito Giovanni Brusca. Il verdetto dunque è un fondamentale spartiacque nella ricostruzione della terribile stagione degli anni 1992-1993, insanguinata dalle stragi Falcone e Borsellino e  dagli attentati di Roma, Milano e Firenze. La minaccia allo Stato si concretizzò nell’uso delle bombe da parte della più potente organizzazione criminale del Paese e tra le più temute al mondo. Con questa condanna viene attribuita una precisa responsabilità agli ufficiali del Ros in relazione all’anno 1992 mentre per quanto riguarda Marcello Dell’Utri ci si riferisce al periodo del Governo Berlusconi. Era una decisione attesa, anche se non tutto il processo è stato sotto i riflettori nazionali, ed è già una pagina della Storia d’Italia difficile da leggere e da accettare per ciò che impone di guardare, ossia un momento in cui l’Antistato trattava con lo Stato. Questa sentenza è al contempo una straordinaria vittoria dello Stato contro la mafia e contro le sue stesse anomalie, indica la capacità delle istituzioni indipendenti, come la Procura e il Tribunale, nel leggere anche le vicende più oscure e difficili.

La sentenza della Corte d’Assise conferma pressoché integralmente (eccezion fatta per Mancino) l’impianto accusatorio sostenuto dalla pubblica accusa rappresentata in primis da Nino Di Matteo. Questo processo, per la delicatezza dei rapporti toccati, è stato complesso e sottoposto a un fuoco di fila di critiche, comprese quelle sulla stessa formulazione del reato, fino alla più classica accusa di complotto. Anche per questo il risultato raggiunto è un eccezionale punto di partenza per un’analisi storica, sociale e politica di quel periodo, analisi che viaggia a latere degli accertamenti delle responsabilità penali. Ieri la lettura del dispositivo e ora si attende il deposito delle motivazioni che potranno contribuire oltremodo a comprendere cosa accadde in quegli anni e cosa è emerso in questo lungo processo. Toccante la dedica di uno dei pm che hanno sostenuto l’accusa, Vittorio Teresi: “Questo processo e questa sentenza sono dedicati a Paolo Borsellino, a Giovanni Falcone e a tutte le vittime innocenti della mafia. E’ stata confermata la tesi principale dell’accusa, ossia l’ignobile ricatto fatto dalla mafia allo Stato a cui si sono piegati pezzi delle istituzioni”. Una dedica giusta, che arriva a poche settimane dal ventiseiesimo anniversario della strage di Capaci. Si, a 26 anni esatti da quell’orribile sfida del 1992. Sono stati anni di complicata ricostruzione di fatti, ricerca di prove e riscontri e adesso questa sentenza è un balsamo di coraggio e speranza per tutti coloro che tuttora combattono contro il potere criminale ed economico della mafia e che ancora vengono accusati di vedere mafia ovunque, di esagerare, di inventarsi un fenomeno che non c’è.


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